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Il fondo sovrano libico muove ancora in UniCredit e sale al 7,6% del capitale

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 settembre 2010 alle ore 08:58.

La Libia prosegue nella politica di investimento in UniCredit. Nei giorni scorsi la Lia – Lybian Investment Authority – ha acquistato sul mercato un altro mezzo punto percentuale, salendo così dal 2,075% (acquistato il 3 agosto) al 2,59 per cento. Fonti finanziarie confermano al Sole 24 ore che lo stock di azioni in mano al fondo sovrano di Tripoli è salito da 400 a 500 milioni di azioni.

Il nuovo acquisto è stato comunicato alla Consob, che da fine agosto ha aperto un dossier su UniCredit-Libia dopo che alla quota della Banca Centrale libica (acquistata nel novembre 2008, alla quale risulta ora intestato direttamente il 4,052%) e allo 0,561% intestato alla Lybian Foreign Bank, si è aggiunta quella della Lia. La quota controllata da Tripoli, sempre secondo quanto risulta alla Consob, si porterebbe ora a oltre il 7,2%, con prospettive ormai evidenti di ulteriore crescita. Se si considera quanto comunicato sul sito di UniCredit le quote che fanno capo a Tripoli ammonterebbero in totale con gli ultimi acquisti al 7,578%: il pacchetto della banca centrale infatti risulta pari al 4,988% a cui si dovrebbe quindi aggiungere il 2,59% del fondo sovrano. La Consob sta verificando se in questo modo sia stato sforato il tetto del 5% al possesso per ogni azionista, messo in sede di privatizzazione del vecchio Credito Italiano, nel 1994.

Il tema, posto in sede soprattutto politica dalla Lega, che teme uno "snaturamento" della vocazione territoriale nordica (in Italia) della banca guidata da Alessandro Profumo, si è concretizzato in un quesito posto dalla Consob alla Libia, e trasmesso dalla Farnesina a Tripoli attraverso l'ambasciata a Roma, guidata dall'ambasciatore Hafed Gaddur, che gestisce i rapporti politici nella tratta Roma-Tripoli. La lettera, datata 26 agosto e firmata dai funzionari Giulia Staderini e Maria Mazzarella, chiede nel dettaglio quali siano dentro la Lia i meccanismi di decisione degli investimenti, l'esercizio dei diritti di voto e l'eventuale influenza di «soggetti esterni». In sostanza si chiede se la Banca centrale libica – che in cda della banca esprime il proprio governatore nella carica di vice presidente, Farhat Omar Bengadara – e la Lia (oltre che alla Lybian Foreign bank) siano sotto la stessa regìa, e quindi sotto il diretto controllo del leader Muhammar Gheddafi. Naturalmente il tema è salito di temperatura dopo il grave incidente tra la vedetta e il peschereccio «Ariete», con la scia polemica sui contenuti degli accordi e le regole d'ingaggio.

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Ma da Tripoli si mira non senza difficoltà a stemperare i toni e riportare il tutto al contenuto economico-finanziario dell'operazione UniCredit, considerata «strategica e di lunga durata». Nella dettagliata risposta ai quesiti inviata alla Consob, la Lia ha dato elementi giudicati «comprovanti dell'effettiva indipendenza delle istituzioni» tra di loro, tra le quali «non ci sono accordi». In sostanza – si afferma – la banca centrale gode di autonomia (sulla traccia delle autorità monetarie di buona parte del mondo) e il fondo sovrano è governato da una legge dello stato che prevede la nomina di un board of Trustees soggetto al controllo del Lybian General People's Commitee, cioè il governo. Al suo interno il comitato (dove non esiste diritto di veto e quindi non ci sarebbero "azionisti" che possano bloccare o imporre da soli le decisioni) decide gli investimenti in ragione della loro «prospettica profittabilità». Era stato poi posto il ruolo del presidente della Lia, Sami Rais, nominato nel novembre 2009 e che risultava membro della banca Centrale libica, ravvisando in questo un raccordo tra i due enti: nella risposta si afferma che Rais si è da tempo dimesso, mentre non si fa menzione nella domanda (e quindi anche nelle risposte) del ruolo di Bengadara, consigliere della Lia.

Si ribadisce che il fondo sovrano gestisce nel lungo termine le eccedenze dei proventi dalla vendita di idrocarburi, in sostanza il "tesoretto" libico a cui attingere in eventuali tempi di bisogno (sulla falsariga dello stesso ente in Norvegia). Tutte queste motivazioni saranno fornite anche all'UniCredit – e in particolare al presidente Dieter Rampl – che con ogni probabilità le fornirà anche alla Banca d'Italia, che da un paio di settimane ha aperto un dossier. «L'investimento della Libia dimostra la saldezza del sistema finanziaria italiano, tanto più importante in questo momento di faticosa ripresa – ha detto una fonte vicina al dossier –. Si tratta di un investimento puro che nulla a che fare con altre considerazioni di carattere politico o di altra natura, è il segnale che il mondo dei fondi guarda all'Italia». A conferma di questo atteggiamento "amichevole" è il fatto che ad oggi i libici non hanno mai votato in assemblea, in risposta – si osserva – alle ipotesi di eventuale congelamento della quota complessiva eccedente il 5 per cento.

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