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Finanza e Mercati Azioni

Per i gestori il timore è l'abbraccio della politica e l'inevitabile vuoto nella leadership

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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2010 alle ore 15:21.

Alessandro Profumo, da alcuni è stato definito come l'ultimo dei Mohicani (forse un'esagerazione visto che il glorioso indiano combatteva per la libertà del suo popolo...); il manager che nell'Italia del capitalismo di relazione ha provato a gestire la sua azienda con logiche di mercato. Da altri, invece, è stato indicato, e attaccato, come colui che si è comportato quale custode infedele. Al di là delle diverse valutazioni, spesso influenzate da interessi di parte, è innegabile che UniCredit è Profumo sono legati a doppia mandata. Cioè, l'amministratore delegato, di cui ancora adesso non sono certe le sorti future, non è certamente un manager qualunque per la banca. È stato lui, per gran parte, a trasformarla e a farla diventare il quinto istituto finanziario europeo.

Il titolo in Borsa
Il mercato ha reagito, per tutta la giornata, alle notizie che si sono susseguite senza soluzione di continuità. Il titolo, a Piazza Affari, subito in avvio era in forte calo assestandosi a quota 1,878 euro. Poi, pian piano, quando si sono diffuse le voci di una possibile composizione della frattura tra il manager e gli azionisti, UniCredit ha ripreso quota.

È risalito fino a quota 1,9 euro, quando le agenzie (14.00) hanno rilanciato la notizia che, al contrario, c'era l'ipotesi di un'uscita di scena di Profumo prima del board delle 18.00. Un segnale, per quanto limitato ad una seduta molto volatile, che l'addio di Alessandro il "Grande" non era ben digerito dal mercato.

Di nuovo, però, non appena da fonti vicine alla banca sono arrivate smentite sulle dimissioni il titolo si è ripreso. Di lì in poi, dalle 15.00, le azioni di Piazza Cordusio si sono mosse lateralmente per chiudere in calo del 2,11% a 1,899 euro. Fin qui il titolo in Borsa. Ma il mercato cosa pensa della possibile uscita di scena dell' ex amministratore delegato?

Non un manager qualunque
«Non è tanto Profumo in sé - spiega Alessandro Pigoli, presidente di Pigoli consulenza -, quanto quello che rappresente». In che senso? «Mi riferisco al suo modo di concepire il ruolo del manager. È sempre stato percepito dagli investitori, a torto o a ragione, come uomo di mercato, focalizzato sulla redditività e produttività della banca. Lo si è visto quando, nella vicenda del "Bancone", accorpando diverse realtà, ha ridotto il numero dei cda e dei posti nei vari consigli. Una mossa che diminuito il peso della politica locale sulla banca. Ecco, questo tipo di mosse la Borsa le premia. La sua fuoriuscita potrebbe portare ad una perdita di appeal sul titolo. Ciò detto, sono poi sempre i conti che rilevano: se l'economia si riprende; se il ritorno sull'investimento migliora. Bé, allora il mercato dimentica. E lo fa abbastanza velocemente».

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«In questo momento è difficile dare un'indicazione: bisognerebbe capire quali sono veramente le ragioni che hanno portato a questa situazione - dice Maila Bozzetto, consulente indipendente di Imad2 -. È però indubbio che non si tratta di un manager come un altro. Ha avuto,e ha, il suo peso in positivo come hanno dimostrato i numeri che è riuscito a realizzare. Il mercato, questo, glielo ha sempre riconosciuto».

Problema della transizione
Un po' diverso, invece, il discorso di Luca Ramponi, direttore investimenti di Auro gestioni, sgr delle Bcc: «L'eventuale problema è quello del breve medio periodo - dice -. Lui è il gran conoscitore della macchina interna della banca e, soprattutto, è colui che la stava traghettando in questo momento di trasformazione con il progetto del "bancone". Sotto questo profilo può non essere così facile sotituirlo. Più sul lungo periodo le sue note caratterische di uomo del mercato, invece, credo siano fungibili con un altro manager».

E proprio sul tema della transizione si focalizza il daily report di Banca Leonardo: se Alessandro Profumo decidesse di rassegnare le dimissioni - sottolineano gli esperti - ci aspettiamo un periodo di vuoto nella leadership (e una lotta interna per la riassegnazione del potere) e incertezza strategica con il rischio di più influenze politiche nelle decisioni di business.

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