Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2010 alle ore 19:54.
WASHINGTON - Ai ministri finanziari e ai governatori del G-7, il gruppo dei grandi paesi industriali, il termine "guerra delle valute" coniato dal loro collega brasiliano Guido Mantega non piace. Per questo, prima di riunirsi a cena, stasera a Washington, hanno provato a smorzare le tensioni. «Parlare di guerra dei cambi è inappropriato», ha detto Christine Lagarde, il ministro dell'Economia francese. E il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, preferisce parlare di «forti disallineamenti dei cambi».
Ma la sostanza è che le posizioni su quel che sta accadendo sui mercati valutari, dove il dollaro scivola sull'euro e le valute emergenti, mentre Cina e Giappone intervengono per tenere il cambio artificialmente basso, sono distanti. Anche perché distanti sono gli interessi dei singoli paesi, e difficilmente basterà una cena a sanare le divergenze. Lo dimostrano le dichiarazioni di queste ore, prima di sedersi a tavola, dei veri protagonisti della vicenda: il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, ha puntato l'indice contro la Cina, la cui politica di tenere il cambio sottovalutato blocca gli sforzi di ribilanciare la crescita mondiale, e il ministro giapponese Yoshihiko Noda, che ha ribadito che, se necessario, Tokyo continuerà a intervenire sui mercati per tenere lo yen basso.
Quanto alla Cina, la sua posizione era già stata chiarita senza ombra di dubbio alla vigilia degli incontri di Washington dal premier Wen Jiabao, quando a Bruxelles aveva opposto un muro alle richieste europee di lasciar rivalutare più rapidamente lo yuan. La questione cambi non sarà una guerra, ma è diventata abbastanza spinosa da richiedere l'intervento dei capi di stato e di governo, il mese prossimo a Seul. Nel frattempo, i mercati valutari verranno lasciati in preda alla volatilità.