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Il fondo libico “opaco” che investe all’estero e in Italia (Ft)

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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2011 alle ore 15:07.

Il Financial Times definisce “opaco”, poco trasparente, la Libyan Investment Authority, il fondo sovrano libico che ha costruito negli ultimi anni un portafoglio diversificato di investimenti esteri. Tra questi, ci sono anche quelli che il Ft chiama “trofei”, come la quota del 3,01% di Pearson, l’editore proprietario dello stesso Financial Times. Ma “nonostante i tentativi di forgiare relazioni internazionali”, l’Italia, “ex colonizzatrice della Libia e suo maggiore partner commerciale”, è rimasta al centro dell’attenzione, a partire dalle partecipazioni in Unicredit e Juventus.

La Libyan Investment Authority (Lia), “che gli analisti valutano tra 60 e 80 miliardi di dollari”, ha accumulato quote in svariati asset esteri, dai giornali alle squadre di calcio, dalle banche ai tessili. Tripoli ha istituito il fondo nel 2006, dopo che nel 2004 l’Onu ha tolto le sanzioni, per attenuare la dipendenza del Paese dalla ricchezza del petrolio.

Nell’articolo di Lina Saigol da Londra, corredato da una foto della Juve, il Ft sottolinea che alcuni degli investimenti oltremare pochi mesi prima dell’attuale crisi erano “politicamente tesi”. Il quotidiano ricorda poi che nel 2010 l’aumento della partecipazione libica in Unicredit ha “esacerbato lo scontro” tra il Ceo Alessandro Profumo e gli azionisti italiani, con le successive dimissioni di Profumo. La Lia detiene il 2,5% di Unicredit, una quota che sommata al 4,9% della banca centrale libica, porta la partecipazione totale di Tripoli quasi al 7,5%.

Nonostante questo incidente, prosegue il Ft, la Libia ha accettato di mettere su un fondo di 500 milioni di dollari insieme a Mediobanca per investire in imprese italiane in difficoltà.

Inoltre, la Libyan Arab Foreign Investment Company detiene il 7,5% della Juventus. Al-Saadi Gaddafi, figlio del leader libico, era nel Cda della Juve e giocava perfino a calcio nel Perugia e nell’Udinese. Tripoli aveva anche preso in considerazione di fare un’offerta per la Lazio e ha finanziato la Triestina.

La spinta italiana per sviluppare i legami con Tripoli, continua il Ft, ha anche portato ad accordi cooperazione nell’aerospaziale e in altri progetti in Medio Oriente e Africa con Finmeccanica.

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La Libyan Investment Authority, spiega al Financial Times Ann Wyman della Nomura, è “più opaco” di altri fondi sovrani e per questo il paese non è stato altrettanto attivo negli investimenti esteri. La Lia ha fatto molti dei suoi investimenti tramite fondi equity privati e ha usato le banche in Europa e negli Usa per gestire i suoi investimenti. Poiché gran parte degli asset del fondo sono ancora liquidi, la Libia ha potuto avere un approccio “opportunistico” nei confronti degli investimenti in Europa, negli Usa e altrove.

Ecco perché – ricorda il Ft - alcuni dei più potenti protagonisti del private equity sono andati in Libia due anni fa a corteggiare la Lia. Carlyle è stato uno dei primi a ricevere fondi, “in parte grazie agli sforzi del suo capo, David Rubenstein, che andò a Tripoli nel 2006”. Un anno dopo un figlio del capo di stato libico, Seif al-Islam Gaddafi, andò negli Usa per incontrare importanti dirigenti finanziari.

All’estero, la Libia ha anche fatto acquisti di proprietà immobiliari di pregio, come un palazzo di uffici a Mayfair, a Londra.

La Wyman rassicura: anche se il valore dei loro investimenti è sceso per via delle proteste, a suo parere “è improbabile che ci siano ragioni per cui la Libia debba vendere i suoi investimenti internazionali nell’immediato futuro, poiché non ha immediato bisogno di contanti”.

I contraccolpi italiani del caos in Libia sono in evidenza su molti media esteri. I riflettori sono puntati sul petrolio, con l’Eni in primo piano, e sul rischio di immigrazione massiccia in Europa.

“I gruppi petroliferi fanno piani per la rapida uscita dalla Libia”, “Gli italiani temono l’aumento dell’immigrazione africana”, sono altri titoli del Financial Times. La Bbc: “l’Ue condanna la violenza e teme i flussi”. “I disordini libici portano all’aumento del prezzo del petrolio”.

I soldi del petrolio hanno reso la Libia un importante azionista mondiale” titola il Guardian, con una grande foto della Juventus.

Grazie alle sue riserve petrolifere, la Libia ha investito più di 70 miliardi di dollari in giro per il mondo ed è azionista importante di Financial Times, di Fiat e Juventus, sottolinea il Guardian. La Libia ha di recente acquistato varie proprietà immobiliari in Gran Bretagna e dovrebbe spendere altri soldi in Uk nei prossimi anni. Quanto all’Italia, “Vista la stretta relazione tra il primo ministro italiano Silvio Berlusconi e il colonnello Gheddafi, forse non è sorprendente che la Libia abbia molti investimenti in Italia”.

Il Times ricorda la visita di “riconciliazione” fatta di recente da Gheddafi a Roma, quando l’Italia chiese ufficialmente scusa per il “doloroso capitolo” della colonizzazione. Ma la “dittatura modello” di Gheddafi si sta mutando in cenere.

Negli Stati Uniti, un lancio Bloomberg attira l’attenzione sull’Eni: “Compagnia petrolifera Eni a rischio mentre si diffondono i disordini anti-Gheddafi”, titola l’agenzia americana. L’Eni è l’impresa straniera che “ha più da perdere”: nel paese nordafricano pompa quasi 250mila barili al giorno, circa il 14% della sua produzione totale, si legge nell’articolo Bllomberg ripreso dal San Francisco Chronicle. E le azioni Eni hanno avuto il calo peggiore degli ultimi 19 mesi.

Gran Bretagna, Italia condannate per i legami con la Libia”, scrive il Los Angeles Times, con un richiamo in risalto sulla homepage del suo sito internet. I due paesi hanno fatto affari con il regime di Gheddafi negli ultimi anni. Colpisce la notizia che un commerciante d’armi britannico ha venduto gas lacrimogeni e pallottole.

L’Italia, ex potenza coloniale, “ha coltivato i legami con Gheddafi per anni”. Le imprese italiane hanno contratti importanti con la Libia e l’Eni “ha promesso di investire lì 25 miliardi di dollari”. Il Los Angeles Times ricorda le critiche a Berlusconi per avere detto inizialmente di non volere “disturbare” Gheddafi, finché lunedì un suo comunicato ha definito “inaccettabile” l’uso della forza.

Anche il Wall Street Journal mette in evidenza quanto sia imbarazzante ora l’amicizia con Gheddafi: “I legami europei con la Libia messi in discussione”, titola il quotidiano Usa.

I governi europei – scrive il Wsj - sono sotto pressione per spiegare anni di “corteggiamenti” al leader libico Gheddafi, e la firma di “lucrosi contratti d’affari” con Tripoli, nonostante la violazione dei diritti umani da parte del regime. C’è la foto di Berlusconi in parata con Gheddafi, a Roma. “La pressione a ripensare i suoi legami con la Libia è particolarmente acuta in Italia, principale partner commerciale della Libia, con circa 17 miliardi di dollari di scambi di beni e servizi tra i due paesi nel 2009”.

Il Wsj segue con attenzione gli sviluppi di cronaca: “Gli evacuati dalla Libia arrivano a Roma”. “Le compagnie petrolifere sospendono le operazioni in Libia”. L’Ap  sul Washington Post: “L’Italia manda jet militare a Bengasi”.

L’International Herald Tribune, in un commento di Roger Cohen pubblicato anche sul sito del New York Times e intitolato “La danzatrice araba di Berlusconi”, critica la risposta europea alle rivolte arabe e in particolare quella del premier italiano. “A suo modo, il vecchio multimiliardario Berlusconi… ha scimmiottato le maniere dei despoti arabi contro cui si è sollevato il popolo di Egitto e Tunisia e Libia e Bahrain. Come loro ha confuso se stesso e la nazione, ipnotizzata dal culto della sua personalità”.

Le compagnie petrolifere progettano l’evacuazione dalla Libia”, titola il New York Times, in un ampio servizio che parla anche dell’Eni, la compagnia petrolifera che è in Libia da più tempo, fin dal 1959.

Tra i media spagnoli, Expansion titola: “Italia, la più penalizzata in Borsa per tensione in Libia". Tra i titoli più colpiti, Eni, Unicredit, Intesa, Impregilo e la Juventus. 

Anche El Pais nota che “la presenza della Libia nel loro capitale arresta in Borsa Unicredit e Pearson”. Il quotidiano spagnolo ha un altro titolo, più politico: “L’Italia pone in massima allerta tutte le sue basi militari”.

Per il corrispondente di El Pais, Miguel Mora, la rivolta popolare in Libia ha posto il governo italiano in una “posizione indifendibile”, sia in patria che nell’Unione europea.

El Economista dà notizia delle parole del ministro degli Esteri Franco Frattini, che si è detto preoccupato per la possibile creazione di un emirato islamico a Bengasi.

Girano sul web anche altre dichiarazioni di Frattini sulla Libia. Les Echos, per esempio, riferisce la frase: “Non dovremmo dare la cattiva impressione di volere esportare la democrazia”.

Libération titola l’editoriale con un secco “Terrorista”: tale è il regime di Gheddafi ed è grazie a Bush figlio, Blair, Berlusconi e alla fine Sarkozy se “nonostante il suo mostruoso bilancio”, la Libia è stata riportata nel concerto delle nazioni.

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