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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 07:36.
Non era mai successo, o almeno non era mai successo con questa estensione temporale nei tempi moderni della Borsa. Piazza Affari si è bloccata ieri per un blackout informatico che ha paralizzato gli scambi fino alle 15.30, quando il sistema è finalmente ripartito. Ma il guasto non era relativo alla piattaforma di negoziazione, bensì al sistema informatico con quale vengono trasmesse le informazioni su prezzi e quantità agli intermediari per permettere loro di operare. Il fatto è che a essere tagliati fuori dalla Borsa erano solo gli intermediari italiani che usano il sistema informativo DDMPlus, più adatto alle caratteristiche del nostro mercato dove il trading online è una componente importante, mentre gli inglesi che utilizzano Infoelect (più nuovo come concezione, ma meno sofisticato) avrebbero potuto lavorare come se nulla fosse. Giustamente, Borsa italiana ha privilegiato la par condicio, imponendo, nonostante le proteste dei trader britannici, lo stop totale alle contrattazioni.
Subito in apertura, appena passate le 9, sono stati dunque sospesi i mercati Mta (azioni), Etf (exchange traded securities), SeDeX (certificates e covered warrant) e Mot (obbligazioni retail) gestiti da Borsa italiana. L'Idem, il mercato dei derivati dove si scambiano future e opzioni su indici e titoli, non ha invece risentito dell'intoppo, nonostante l'interfaccia informativa per i trader italiani sia sempre il sistema DDMPlus. Tuttavia, alle 12.10, sono stati fermati anche gli scambi sul mercato a termine perché, ha spiegato l'ad di Borsa italiana, Raffaele Jerusalmi (si veda altro articolo in pagina), a quel punto occorreva riavviare tutto per far ripartire le negoziazioni. Si è salvato invece l'Mts, il mercato all'ingrosso dei titoli di Stato, che utilizza la piattaforma della Sia, il circuito delle banche italiane.
Dalle prime ricognizioni, del guasto non avrebbe dunque responsabilità la piattaforma di negoziazione che per Borsa italiana al momento è Tradelect, cioè la vecchia piattaforma di trading di Londra che da qualche mese è passata al nuovo sistema Millenium, di prossima adozione (entro fine anno) in Piazza Affari.
La Consob, in una lettera inviata all'ad di Borsa italiana e per conoscenza al ceo dell'Lse, Xavier Rolet, ha comunque subito chiesto «chiarimenti» e soprattutto «di predisporre adeguati correttivi affinché situazioni simili non si ripetano in futuro». La Commissione presieduta da Giuseppe Vegas ha quindi raccomandato di «predisporre un'azione di rafforzamento dei presidi organizzativi e tecnologici a tutela del regolare svolgimento degli scambi». Anche perché non è la prima volta che succede.
Negli ultimi tempi, ne è capitata una al mese. È successo a dicembre, quando al ritorno dai pranzi di Natale, gli operatori italiani per qualche ora erano rimasti inspiegabilmente privi del flusso informativo in tempo reale sugli indici Ftse di Piazza Affari. Si è capito ex post che probabilmente la causa era l'errore umano. Lunedì 27 dicembre, infatti, la City era chiusa per «bank holyday» e alla vigilia di Natale, spegnendo le luci in Borsa prima del week-end lungo, qualcuno aveva «staccato la spina» che collegava in via informatica l'Lse alla società provider degli indici che, anche per la Borsa inglese è l'Ftse, scordandosi che alla stessa spina era attaccato anche il mercato italiano.
Pochi giorni dopo, alla ripresa delle attività del 3 gennaio, la maledizione del baco ha colpito nuovamente gli indici di Piazza Affari proprio al debutto di Fiat Industrial. Il problema era stato causato involontariamente dalla scissione del Lingotto e in particolare da un errore di gestione dati da parte dell'Ftse, sorto nel momento di inserire nel paniere delle blue chip le due nuove azioni Fiat Spa e Fiat Industrial.
Ieri la Borsa si è scusata, assicurando di essere già al lavoro per impedire il ripetersi di episodi analoghi. Ma non tutto il male vien per nuocere. Col mercato principale in chiusura forzata, si è avuta la prova provata che Piazza Affari non deve temere la concorrenza dei circuiti alternativi, di fatto rivelatisi «parassitari». Alle 14, infatti, quando la Borsa non era ancora ripartita, sugli Mtf erano scambiate inezie: il 2,2% del giorno prima in Borsa nelle stesse ore sull'Eni, il 2,5% su Generali, l'1,2% su UniCredit, il 2,7% su Intesa Sanpaolo, il 5,8% sull'Enel. Poiché la liquidità non è decollata, non si è riusciti nemmeno a fare arbitraggi sugli indici. Per esempio è stato calcolato che se ci fossero stati, Eni in quelle stesse cinque ore avrebbe dovuto scambiare almeno 10 milioni di pezzi, invece si è fermata a quota 700mila.
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