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Questo articolo è stato pubblicato il 18 dicembre 2010 alle ore 17:23.

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Il monetario, un mercato da 4mila miliardi al giorno. Il retail ci punta ma rischia l'over confidence (Imagoeconomica)Il monetario, un mercato da 4mila miliardi al giorno. Il retail ci punta ma rischia l'over confidence (Imagoeconomica)

Un mercato da 4mila miliardi di dollari al giorno. Una montagna di denaro, elettronico, inimmaginabile, non pensabile. Al confronto gli scambi sulle Borse sono veramente peanuts. Di cosa si tratta? Del mercato valutario che, negli ultimi anni, ha messo a segno una crescita incredibile.

Un boom che, secondo le indicazioni della Banca per i regolamenti internazionali (Bri), non è da attribuirsi ai classici reporting dealers, cioè alle grandi banche tradizionali attive sul Forex o per conto proprio o per incontrare la domanda di terzi. Tutt'altro! A dar retta alla Bri, i protagonisti di questa ascesa sono le "other financial institutions". In pratica: piccole banche, fondi d'investimento, fondi monetari, compagnie assicurative, hedge fund, fondi pensione e anche investitori retail.

Il sorpasso degli "altri istituzionali"
Per rendersene conto basta dare un'occhiata a una delle molte tabelle pubblicate dalla Banca di Basilea. Nel 2007 i reporting dealers, su un mercato da circa 3mila miliardi di dollari al giorno, gestivano attorno a 1.200 miliardi. Le "other financial institutions", invece, si fermavano a un valore di poco inferiore. Nel 2010, invece, c'è il sorpasso: "i nuovi operatori" hanno raggiunto, in qualità di controparte, un valore di scambi quotidiano attorno ai 2mila miliardi. Ben al di sopra degli attori tradizionali.

Retail professionisti
Già, gli attori tradizionali. Tra questi, soprattutto nel difficile mondo delle currency, non ci sono certamente gli investitori singoli. Che, al contrario, hanno fatto la loro comparsa e non sporadica. Una delle cause di questo fenomeno è la crescita dei sistemi elettronici di scambio. «Si tratta di un trend- dice la Bri - che trasforma il mercato del Forex, riducendo i costi di transazione e aumentando la liquidità. I continui investimenti nei metodi d'esecuzione elettronica hanno aperto la strada», per esempio, agli algo-trader. Cioè, all'attività di compra-vendita realizzata tramite dei computer direttamente connessi alle varie piattaforme di scambio (gli Electronic communication networks, Ecn). «In questi casi gli algoritmi dei computer - sottolinea la Bri - raccolgono i prezzi tra le varie piattaforme, piazzando l'ordine senza alcun intervento umano». Un fenomeno che sempre va sempre più estremizzandosi.

High-frequency-trading
Basta pensare, in tal senso, al cosiddetto High-frequency-trading: «Una strategia che sfrutta i micro spostamenti dei prezzi realizzando acquisti e vendite in operazioni chiuse in millisecondi». È ovvio che, a fronte di simile strategie, non siamo di fronte al retail classico normalmente considerato dai media, bensi ao peratori altamente professionali.

Ciò non toglie che anche Mr e Mrs Smith, o se si vuole il Signor e la Signora Rossi, si sono affacciati su questi mercati. Si tratta di un trend abbastanza pericoloso, tenuto presente che quello valutario è uno dei mercati più difficili da definire, gestire e controllare. Dove, insomma, la navigazione è molto difficile.

Il rischio del retail è la over confidence
In tal senso, un piccolo aiuto può arrivare anche dal ricordare alcuni problemi che colpiscono l'attività del singolo trader online. E dall'indicare qualche piccolo accorgimento. Accade, spesso, infatti che tanti investitori retail, seppure non lo ammettano apertamente, sono colti dal seguente pensierio: «Io certamente ne so più degli altri». Non nel senso di possedere informazioni privilegiate, tali magari da configurare l'insider traiding. Bensì, in quello di sentirsi più capaci, più abili rispetto agli altri. Sono colpiti dalla over confidence: una "malattia" diffusa tra i trader, soprattutto online.

«Diverse ricerche sul campo -sottolinea Enrico Maria Cervellati, docente di finanza aziendale all'università di Bologna- hanno mostrato come il retail, convertito alle contrattazioni via internet, sia spesso colto da eccessiva fiducia: dall'idea che il suo giudizio è migliore rispetto a quello che è in realtà». Una falsa rappresentazione articolata su diversi fronti: in primis è l'illusione di sapere più di quello che si conosce effettivamente; poi è l'errore di pensare di avere conoscenze più precise rispetto agli altri; cui deve aggiungersi un'altra finta convinzione: il riuscire a controllare maggiormente la situazione.

Quest'ultimo atteggiamento è strettamente legato al trading online. «Potendo immettere l'ordine nel book e vedendo la sua operatività - spiega Enrico Rubaltelli, esperto di psicologia degli investimenti dell'università di Padova-, l'investitore si sente dominus della situazione. Ne è gratificato. Un mood che lo porta a sovrastimare le sue capacità. Un po' ciò che accade, peraltro, in un altro classico errore da over confidence: l'autoattribuzione». Vale a dire? «È la tendenza, quando l'investimento ha avuto buon esito, ad attribuirsene l'esclusiva paternità; al contrario, se c'è la minusvalenza la colpa è del mercato, di una variabile imprevedibile».

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