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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2011 alle ore 12:31.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2011 alle ore 09:19.

Manca certamente in Europa una politica fiscale ottimale. In teoria la Germania potrebbe rilanciare lo stimolo fiscale e compensare l'austerità dei Paesi indebitati, ma è davvero immaginabile che Berlino deroghi al pareggio di bilancio dopo averlo inserito in Costituzione e avere indotto gli altri Paesi a fare lo stesso come condizione per salvare l'euro? La costituzionalizzazione del bilancio in pareggio è molto utile a Paesi in deficit di credibilità e con altissimo debito - come l'Italia - ma è una soluzione "stupida" per un'area economica in cui la domanda interna è debole e la politica monetaria è orientata al solo controllo dell'inflazione. Anche in questo caso si sente la mancanza di governo e di responsabilità politica a cui si sopperisce con vincoli rozzi.

In uno scenario di rallentamento globale, anche puntare solo sull'export, come sostiene Berlino, non è una gran soluzione. L'80% dell'export tedesco finisce in Europa, negli Usa o in Giappone e quindi subirà la frenata dei mercati di sbocco. Quanto all'export verso la Cina, oltre metà consiste in beni strumentali, macchinari ed è quindi molto dipendente dall'export cinese verso il mondo occidentale. L'idea che la Germania si possa salvare da sola puntano sulla competitività dei propri esportatori si rivela debole. Le 30 maggiori imprese tedesche producono all'estero il 70% del loro fatturato e una quota simile dei loro profitti. Con la frenata globale anche i profitti attesi caleranno - come dimostra il forte calo della Borsa tedesca - e con essi gli investimenti.

Istintivamente uno potrebbe consolarsi dicendo «colpa della Merkel» che non ha voluto risolvere la crisi dell'euro area nel 2010. Ma osservando le incertezze di questi giorni con cui a Roma si cerca alla cieca di seguire con i fatti le promesse sulla correzione di bilancio, chi se la sente di accusare i tedeschi di non aver avuto abbastanza fiducia? Sarà il clima depresso, ma bisogna ammetterlo: che segnale arriva a Berlino quando si fatica a dare un senso alla propria politica fiscale e intanto si invocano gli eurobonds?

Alla fine se l'economia dell'euro area si fermerà, l'unico strumento di politica economica a disposizione resterà la politica monetaria. La Bce potrebbe cioè essere costretta a cambiare rotta dopo aver alzato i tassi l'ultima volta esattamente alla vigilia della crisi italiana dell'8 luglio, e a portare agli estremi il proprio ruolo di salvatore d'ultima istanza dell'euro monetizzando il debito.

È un vero paradosso faustiano che per mantenere la disciplina sui conti pubblici dei Paesi dell'euro, Berlino debba rinunciare all'anima tedesca della Banca centrale. A Mario Draghi saranno necessarie arti diplomatiche perché questa trasformazione non venga associata alla nazionalità del prossimo presidente e alla Merkel servirà altrettanta perizia per nascondere la violazione dei Trattati. Ma per quanto capaci saranno entrambi, una cosa è certa: affinché lo scambio faustiano di anime possa essere concepito e possa funzionare, i Paesi in crisi - l'Italia certamente per prima - dovranno raddoppiare i propri sforzi di politica economica e risolvere con i fatti i gravi dubbi sulla propria credibilità.

cbastasin@brookings.edu

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