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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2012 alle ore 07:56.
L'ultima modifica è del 02 febbraio 2012 alle ore 07:43.

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Freddo polare. Giù le temperature, giù lo spread, il termometro della crisi (383 punti base, il BTp decennale rende il 5,71%). I mercati di Borsa festeggiano, Milano 'vola' (+2,7%) sulle ali dei titoli bancari e qua e là s'intravvede quella che il premio Nobel Paul Krugman chiama la Fata fiducia.

Basta? No. In Europa il presidente del Parlamento Herman Van Rompuy nota che sugli spread dei Paesi più esposti come Italia, Spagna ed Irlanda c'è una chiara «inversione di tendenza». In Italia l'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi afferma che sarebbe da «irresponsabili» far cadere il Governo di Mario Monti e con toni bassi, molto british, chiede che vengano riconosciuti il senso di responsabilità e anche l'eleganza con i quali il Pdl si è fatto da parte per consentire la nascita del nuovo Governo.

Aggiungiamo il giudizio che la Banca d'Italia ha reso ieri al Parlamento sul decreto-liberalizzazioni («si fanno passi avanti concreti e rilevanti nella modernizzazione del Paese») e il quadro è completo. Se non siamo alla svolta, poco ci manca.
È tutto vero, dati e impressioni. Che tenderanno però a rafforzarsi, fino a una svolta consolidata, a condizione che da una condizione di allarme non si passi d'incanto a una di rilassamento generale, in Italia e in Europa. Perché se è vero che due mesi fa eravamo sull'orlo di un default sistemico, con un'infinità di problemi che ci trascinavamo insoluti da molti anni, è impensabile oggi ritenere che da questa così complessa e profonda stiamo già per uscire a vele spiegate, e con tanto di fanfara al seguito.

L'ancoraggio forte alla ritrovata credibilità dell'Italia in Europa e nel mondo - dovuto al riconosciuto prestigio internazionale di Monti, allo scatto decisionista del suo Governo, al sostegno di un'ampia e responsabile maggioranza e alla spinta del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano - può servirci a leggere le dimensioni dei problemi e a non abbassare la guardia.
Duecento punti di spread in meno tra i nostri BTp a dieci anni e i Bund tedeschi ci danno la prova, dopo due mesi di governo, che la strada imboccata è quella giusta. Tuttavia è lo stesso Monti ad avvertire che «l'obiettivo non è stato raggiunto» e che, in tema di sostenibilità del terzo debito pubblico del mondo, i mercati guardano lontano, ben oltre la prevista data di scadenza di questo Governo fissata per il 2013.

Trecentottanta punti di spread sono ancora tanti, tantissimi (e la Spagna, non dimentichiamolo, è sotto questo profilo in condizioni migliori). Un rendimento del Btp a quota 5,71% è a sua volta troppo alto e diventa sempre più insostenibile in parallelo con la discesa della crescita del nostro prodotto interno lordo. Ha detto ieri David Riley, analista dell'agenzia di rating Fitch: se lo spread scende sotto i 200 o 150 punti e la crescita è pari all'1,5%, allora il debito diventa sostenibile.
Crescere, ecco il problema. Per un Paese in recessione - accreditato per il 2012, secondo le stime dell'Fmi, di una flessione pari al 2,2% - difendere l'impegno ineludibile del pareggio di bilancio nel 2013 è già un'operazione complessa. Segue un altro impegno gravoso, quello di abbattere il debito così come fissato dal 'fiscal compact' europeo appena approvato.

La 'spending review' sulla spesa pubblica servirà in prima battuta per mantenere saldo l'impegno al pareggio di bilancio, e d'altra parte (cosa destinata a far discutere) non sono da attendersi svolte importanti sulla strada delle privatizzazioni, definite ieri da Monti «non prioritarie». Gran parte della partita si giocherà dunque molto presto su due fronti: quello del mercato del lavoro, altra riforma del calibro di quella già approvata per le pensioni, e quello delle liberalizzazioni. Due terreni accidentati, suscettibili di far rialzare lo spread. Il primo perché il suo perimetro si è allargato, come previsto, al famoso articolo 18 di cui si discute da metà degli anni Novanta. Il secondo perché le resistenze a cambiare sono ugualmente forti (ieri se ne è avuta prova in Parlamento). Peraltro, la Banca d'Italia ha avvertito che i frutti delle liberalizzazioni potranno «non vedersi subito», ma che questa resta una «strada obbligata».

Infine l'Europa. Monti è convinto che l'approvazione del 'fiscal compact' renderà più facile il percorso verso la crescita ammorbidendo di fatto l'intransigenza tedesca. A «rilassarsi» dovrebbe essere in questo caso la Banca centrale europea. Ma ieri un lapsus dello stesso Monti - «la Banca centrale tedesca, no, scusate, la Banca centrale europea» - ha fatto di nuovo intravvedere quanto sia in salita questa strada.
Martin Wolf, sul Financial Times e sul Sole 24 Ore, ha chiarito il male oscuro dell'eurozona che non dispone né di una banca centrale né di un cambio aggiustabile.

E non è un caso, forse, che la Polonia europea ma senza euro e con il suo zloty svalutato tatticamente - con un debito pubblico al 50% del Pil, un'inflazione al 3,5% e una crescita nel 2011 superiore al 4% - si presenti in buona forma.La dimensione dei problemi, e della crisi, è questa. Bisogna fare di tutto perché in Europa e in Italia la Fata Fiducia, come è riapparsa, non scompaia.
twitter@guidogentili1

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