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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2012 alle ore 06:46.

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La soluzione alla crisi è la crescita. Su questo concordano praticamente tutti. Persino i tedeschi. Il problema è che per crescere servono finanziamenti. Soprattutto alle imprese. Ma l'erogazione del credito alle aziende in Italia continua a essere debole.
«Hanno chiuso i rubinetti, hanno smesso di fare le banche», ha denunciato qualche tempo fa con enfasi Mauro Fancelli, presidente della Confederazione nazionale artigianato Piccola e media impresa di Firenze.
Gli stessi banchieri riconoscono il problema. «Non solo abbiamo ridotto i nuovi crediti. Ma lo stiamo facendo furiosamente», ammette un alto dirigente di uno dei cinque maggiori gruppi bancari italiani.
I dati segnalati da Mauro Fancelli per la propria Regione sono drammatici: «Nel primo trimestre del 2012 il sistema bancario ha erogato alle imprese toscane il 33,5% in meno dello stesso periodo del 2011. Il Monte dei Paschi di Siena, istituto leader della regione, ha registrato addirittura un calo del 70 per cento».
Nel resto d'Italia è poco meglio. Il banchiere conferma: «Qui non solo non si eroga quasi più a nessuno, ma si sta cercando di rientrare». E a essere più colpiti sono i clienti virtuosi: «Poiché non riusciamo a rientrare con i clienti in difficoltà, siamo costretti a farlo con quelli che stanno meglio. Quelli che pagano. È una follia».
«Il peggio della stretta creditizia dobbiamo ancora vederlo», avverte un secondo top manager di un altro istituto dei cinque maggiori in Italia.
Con questa inchiesta, il Sole 24 Ore ha voluto cercare il perché di quel fenomeno spesso definito con due paroline inglesi che, assieme a spread, sono ormai comuni anche nelle chiacchiere al bar: credit crunch – o stretta creditizia.
«Le banche non hanno motivi strutturali per non dare più credito. Non sono certo saltate le loro reti commerciali dedicate alla sua erogazione», spiega un alto funzionario di un'istituzione finanziaria non bancaria. «Se la rete si è bloccata non è stato per un cambiamento di vocazione delle banche. È piuttosto il risultato di vincoli molto rigidi introdotti nel momento sbagliato, e cioè imposti in una congiuntura macroeconomica in cui ci sarebbe bisogno di maggiore offerta di credito. Di incentivi, non di restrizioni».
Il riferimento è a una singola misura che, interpretando un segnale di origine politica provenuto dal Consiglio europeo prima ed Ecofin poi, ha di fatto ingiunto alle banche vincoli patrimoniali senza precedenti con una tempistica da castigamatti. Parliamo dalla Eba/REC/2011/1, e cioè la raccomandazione numero 1 del 2011 dell'Autorità bancaria europea (Eba). Che pur non essendo un obbligo di legge, cioè una normativa formale, è divenuta un obbligo di mercato, cioè preteso da investitori e agenzie di rating.

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