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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2012 alle ore 06:43.

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Doppia accelerazione sul fronte Ilva. Il gip Patrizia Todisco ha depositato la sua ordinanza e da oggi è previsto che scatti la fase esecutiva per le misure cautelari contenute nel provvedimento. Tra queste c'è il sequestro di una serie di impianti. Nel contempo anche lavoratori e sindacati metalmeccanici alzano il livello della mobilitazione come testimoniano le due ore di sciopero effettuate ieri mattina all'Ilva, con 5mila operai che hanno bloccato le statali Appia per Bari e 106 per Reggio Calabria.

Nell'aria da giorni, la stretta giudiziaria si è materializzata qualche ora dopo la protesta dei lavoratori. La sua applicazione, però, almeno per quello che riguarda gli impianti, non sarà immediata. Nel senso che non certo da oggi la produzione viene fermata, nè scatta la fase dei «sigilli». Anzi, il tempo che passerà fra notifica ed attuazione del provvedimento potrebbe aprire qualche spazio e rendere forse meno dirompente il sequestro.

La complessità del ciclo siderurgico è infatti tale da richiedere una programmazione di settimane oltrechè l'adozione di una serie di cautele sul piano della sicurezza. Inoltre, si tratta di impianti che possono essere gestiti e fermati solo da personale specializzato per cui non è da escludere che alla fine possa essere la stessa Ilva ad ottemperare sotto la sorveglianza dell'autorità giudiziaria. Accanto agli interventi sull'azienda ci sarebbero poi le misure che riguardano le persone coinvolte nell'inchiesta della procura. Cinque infatti sono gli indagati per il reato di disastro ambientale colposo e doloso e fra questi ci sono gli ex presidenti dell'Ilva, Emilio e Nicola Riva, e l'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso.

Rispetto ai tempi più lunghi rispetto a quelli inizialmente previsti per il deposito dell'ordinanza, è probabile che il gip abbia rivisto alcune misure anche alla luce di quanto si è mosso in questi giorni sul fronte istituzionale, dalla legge regionale sulle emissioni al piano del governo per la bonifica dell'area di Taranto. In ogni caso, si osserva, la magistratura è consapevole di dover intervenire a fronte di reati in materia di inquinamento, ma è altrettanto consapevole di cosa rappresenti l'Ilva sotto l'aspetto economico e occupazionale.

E che ci sia moltissima paura di veder crollare i posti di lavoro (11mila sono solo i diretti dell'Ilva cui bisogna aggiungere tutto l'indotto) lo si è visto ieri mattina quando migliaia di operai sono usciti dal siderurgico invadendo le statali vicine alla fabbrica. Una manifestazione che ha ricordato quella di fine marzo, quando, in corso in tribunale l'incidente probatorio per l'Ilva, in 8mila invasero la città. «Non possiamo perdere il nostro lavoro»; «la fabbrica va salvata»; «nessuno di noi vuole morire di tumore, ma non possiamo nemmeno immaginare un futuro da disoccupati e cassintegrati»: questi i concetti espressi dai lavoratori in sciopero. «Siamo pronti ad occupare la città» dice la Uilm. E non è escluso che già oggi possano esserci nuove proteste a fronte dell'azione giudiziaria mentre per domattina è indetta un'assemblea dei lavoratori davanti alla portineria D.

Oggi, infine, vertice al ministero dell'Ambiente per discutere della bonifica. Il ministro Corrado Clini, insieme ai ministeri dello Sviluppo e della Coesione territoriale, dovrebbe quantificare, insieme alla Regione, la dote finanziaria del piano per Taranto. «Apprezziamo – commenta Antonio Gozzi, presidente di Federacciai – la disponibilità di tutti i protagonisti che stanno concretamente operando alla ricerca di una soluzione condivisa e ottimale che contemperi da una parte le legittime aspettative di salute ambientale dei cittadini e dall'altra la necessità di salvaguardare l'impatto occupazionale e un patrimonio di eccellenza industriale che non riguarda solo Taranto ma l'intero sistema produttivo economico italiano».

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