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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2012 alle ore 08:17.

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Non mancano, però, solo falegnami e soldi. Manca anche un pugno di grandi aziende leader che siano in grado di trascinare un gruppo in cui ognuno viaggia per proprio conto. E dire che quando ci sono le occasioni (si veda in pagina l'esperienza delle aziende Scappini, Bianchini e Seven impegnate due anni fa in una megacommessa in Africa, ndr) il gruppo risponde e dimostra che esiste la filiera. Per spirito di paradosso, chi sarebbe in grado di tirare la volata, fa fatica. Lo spiega come meglio non potrebbe Bruno Piombini nello show room di Verona (mentre la produzione è a Isola Rizza). Luì è a capo di un gruppo che ha 63 dipendenti (il più grande dopo Selva) e un fatturato che è drasticamente calato in tre anni da 18 milioni a sei. Piombini non molla e continua a puntare su ricerca e qualità.

La parabola della casa espositiva comune a Verona è l'emblema del terzo ingrediente che manca al distretto: il leader che sia in grado di trascinare e fare squadra. Fino a qualche mese fa Piombini divideva l'enorme spazio di fronte alla Fiera con altri due marchi storici del distretto: Minotti di Sant'Ambrogio di Valpolicella e Giacomelli di Cavaion Veronese. Il primo, dichiarato fallito nel 2011, è stato acquistato dal fondo Opera di Michele Russo. «Anche il secondo brand è fallito – spiega Piombini- e così a riempire il vuoto di una parte di questi spazi è arrivata da Nola, in provincia di Napoli, Nusco Porte, azienda con la quale abbiamo un ottimo rapporto. Anzi presto saremo presenti accanto a loro con nostri spazi a Casagiove, nel casertano».
L'innovazione – che spesso mal si concilia con l'artigianato – qualche volta paga. I fratelli Daniele, Giampietro e Marco Munari nel '77 a Ca' degli Oppi hanno puntato sul mobile che «arreda l'elettronica». Così, oggi, all'unisono possono orgogliosamente dire e scrivere di «essere leader nella produzione di mobili porta tv, porta computer e supporti metallici a parete».

Massimo Malvezzi invece è a capo di Beta mobili di Cerea. Anche lui ha innovato (e diversificato) destinando il 50% della produzione alle pareti in legno, alle boiserie, alle pareti divisorie e alle cabine armadio. In una frase, come spiega lo stesso Malvezzi, «nell'occupazione fisica dello spazio e nella produzione su misura e commessa». I fatti gli danno ragione tanto che da anni ha aperto un ufficio anche a Mosca. «Appena ci accorgiamo che si apre un nuovo mercato - spiega Malvezzi - siamo pronti a entrarci».
Per gli affari, prima dei "marangon" e degli "schei" viene, infatti, il fiuto.

IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nel caso del mobile classico del Veronese spiccano produttività, innovazione e internazionalizzazione. Insufficiente, invece, la capacità di fare rete.
PUNTI DI FORZA
1
PRODUTTIVITÀ
La capacità di produrre mobili di altissima qualità è il vero punto di forza dell'area. Nonostante la mancanza di una scuola di specializzazione, artigiani di livello vengono formati all'interno delle aziende. La filiera ha saputo sviluppare in ogni singolo anello
una capacità produttiva che non ha eguali nel mondo nel settore di competenza.
ALTA
-
2
INNOVAZIONE
Le imprese artigianali dell'area hanno osato: a partire dall'evoluzione del nome che da distretto d'arte è ormai diventato distretto del classico. L'innovazione è fatta di piccoli passi perchè cerca soprattutto di soddisfare mercati nuovi ed emergenti nei quali il gusto del made in Italy è ancorato a vecchi stereotipi duri a morire.
BUONA
-
3
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Vent'anni fa il 60% della produzione
del distretto era destinata al mercato domestico e il 40% all'estero. Anche se non esistono statistiche precise, il rapporto si è invertito e sono sempre di più le Pmi medie che cercano oltreconfine uno sbocco.
I Paesi sono soprattutto quelli dell'ex Urss ai quali si uniscono quelli asiatici.
- DISCRETA
-
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
CAPACITÀ COMMERCIALE
Sono gli imprenditori i primi a dirlo: mancano l'azienda o un gruppo di aziende leader in grado di trainare nel mondo il distretto veronese preso d'assalto non solo dagli asiatici, ma anche dai poli italiani della Brianza o di Bassano del Grappa. Senza contare che anche la Germania vanta una lunga tradizione nel settore.
BASSA
-
2
DIMENSIONI D'IMPRESA
Si tratta di un'opportunità ma, al tempo stesso, di una condanna. Soltantoche in questo distretto non si può proprio parlare di industrializzazione e dunque il Dna artigianale, giocoforza, porta ad avere una dimensione media d'impresa di due-tre tre addetti al massimo.
SCARSA
-
3
CAPACITÀ DI FARE RETE
Il distretto, forse a causa della sua spiccata indentità artigianale, non è in grado di mettere insieme le realtà produttive. Reti d'impresa non esistono; eppure, quando si tenta, i risultati non mancano. La sensazione è che gli imprenditori fondatori del distretto non abbiano
del tutto capito che un'era è terminata.
INSUFFICIENTE

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