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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2012 alle ore 08:17.

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ARZIGNANO (VI). Dal nostro inviato
Vent'anni hanno cambiato quasi tutto, tranne la "cattiva fama" che si portano dietro: quella di essere addetti a una lavorazione sporca, maleodorante, in un settore difficile, magari ricco, ma talvolta ai limiti del lecito.
Loro, i conciari, non si riconoscono in questa immagine, di sicuro non più. Se nel 1991 la sfida era quella di un possibile matrimonio fra l'industria e l'ambiente, ora la svolta verde è un dato acquisito. «Se non fossimo cambiati, semplicemente non esisteremmo più», taglia corto Valter Peretti, presidente della sezione concia di Confindustria Vicenza, 77 aziende associate che rappresentano circa la metà (4.675) degli 8.350 dipendenti totali.

Il cambiamento è stato epocale: il sistema della depurazione delle acque è stato completamente rivisto, e oggi non è più un problema: «Il monitoraggio che fa seguito all'accordo di programma del 2005 dice che stiamo rispettando tutti i parametri imposti – spiega Peretti – anzi, siamo tarati su limiti più restrittivi di quelli a livello nazionale. Di fatto abbiamo anticipato la norma europea». I costi, tuttavia, sono stati elevati: tuttora, fra voci dirette e indirette, si aggirano sul 5% del fatturato. Il risultato è che il famigerato odore del pellame trattato si sente sì, ma non nelle zone dove si produce: gli occhi e la gola bruciano avvicinandosi alle vasche di raccolta dell'impianto di depurazione, che non a caso sono in fase di copertura.

Intanto il distretto è tornato, per quantità prodotte, ai livelli degli anni Ottanta: nel tempo si sono susseguite fasi diverse, la forte salita di metà anni Novanta, la leggera discesa fino al 2000, il nuovo exploit degli anni fino al 2005. A pesare, soprattutto, la frenata dell'arredamento, la retromarcia dei distretti del Sud dove si producono i divani. Nel 2006, ultimo anno positivo, si producevano 44 milioni di metri quadri di pelli destinati ai salotti, oggi sono 21. E non è nemmeno, strettamente, una questione di concorrenza: in Cina si esporta più di quanto si importa, e solo qui, ad Arzignano, si propone una continua innovazione, di prodotto e di processo, per stare dietro alle richieste, fra l'altro, della moda. «Quello che ci tiene in piedi è questo continuo miglioramento», commenta Peretti.

La concia ad Arzignano produce il 51% del fatturato italiano e il 32% di quello europeo del settore, l'8% a livello mondiale. La Cina è il primo mercato di destinazione, seguita dall'Europa. Nel paese – 23mila abitanti di cui oltre 5mila stranieri, retto da una giunta di centrodestra – ci sono ancora gli spazi, oggi inutilizzati, lasciati dalle concerie che un tempo si trovavano in centro all'abitato; altre ex industrie sono state recuperate e destinate ad abitazioni, altre ancora sono un cantiere ricoperto da una gigantografia di quel che sarà, sempre da destinare alla residenza. Arzignano ha un hotel, che manca perfino in altri paesi veneti che fanno del turismo la propria vocazione, e lungo lo stradone la concessionaria delle Audi «che qui vanno via come il pane», dice un residente. Nella zona industriale, lungo le strade a raggiera numerate (prima, seconda, terza) si incontrano praticamente tutte le principali realtà di un polo da sempre fortemente orientato all'export: 1,8 miliardi sul totale di 2,5.

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