Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2012 alle ore 08:13.

My24

Sulla carta non esiste più da tempo. Sono quasi due anni che Confindustria Bergamo ha cancellato con un tratto di penna il gruppo dei bottonieri, facendo confluire i pochi iscritti rimasti ancora attivi nella più consistente schiera del tessile-abbigliamento.

In realtà, i bottonieri non sono del tutto spariti dalla provincia bergamasca e bresciana, anche se, rispetto ai fasti dei primi decenni del secolo scorso, del distretto nato dalle acque dell'Oglio, a cavallo tra le province di Bergamo e Brescia, oggi resistono ben poche realtà. Il valore della produzione di quel che resta della cosiddetta «button valley», sparpagliata lungo una manciata di chilometri dell'autostrada A4, è oggi pari a 150-200 milioni di euro (circa 78 milioni vanno in export), per una settantina di aziende che danno lavoro a poco più di 1.500 dipendenti. Numeri ancora di tutto rispetto, ma irrisori rispetto all'immagine che questo territorio aveva per esempio negli anni Trenta, quando le aziende dell'Oglio, partendo dal centro propulsore del comune bergamasco di Grumello del Monte, riuscivano a esportare fino a 27mila quintali di bottoni in tutto il mondo. Qualcosa come sette miliardi di pezzi, per un controvalore che all'epoca era di oltre 150 milioni di lire. Poi tutto è precipitato, e la crisi si è manifestata in maniera veramente rapida, visto che solo vent'anni fa il distretto fatturava ancora 400 miliardi di lire e contava 210 imprese.

«Il mercato si è spostato verso Oriente, nei Paesi a basso costo di manodopera – spiegano da Confindustria Bergamo –, e il distretto, fondato soprattutto su un'economia caratterizzata da un elevato apporto di lavoro, si è sbriciolato sotto i nostri occhi».
Oggi i bottonieri associati a Confindustria si contano sulle dita di una mano. Sono rimaste ancora attive diverse realtà molto piccole, ma pochi veri leader. Difficile, poi, trovare ancora attiva una produzione di bottoni pura. Molti hanno chiuso, qualcuno è andato all'estero, ma soprattutto si è diversificato nelle cinture o nelle chiusure lampo. Qualcuno ha addirittura cambiato settore. Si è salvato chi ha puntato sul fashion e sull'alta qualità. «Il punto debole di questo territorio – sintetizzano da Confindustria Bergamo – è nella mancanza di una guida unitaria: la globalizzazione e l'apertura verso i mercati conosciuta negli ultimi anni richiedeva al distretto una guida unica, mentre questo territorio aveva mille teste, ognuna determinata a navigare nella propria direzione».

Tutto il settore italiano in questi anni ha praticamente alzato bandiera bianca. Fuori dal distretto, a Cuneo, ha destato per esempio scalpore la resa di un'azienda celebre come il Bottonificio fossanese. In provincia di Bergamo ha invece conosciuto difficoltà un'azienda come Limar, vale a dire l'ex Mpb della famiglia Perletti, altra storica insegna della zona. Le piccole realtà costrette in questi anni a fare ricorso in maniera massiccia agli ammortizzatori sociali non si contano più. «Molti hanno gettato la spugna – conferma Daniela Fenili, consigliere d'amministrazione del Bottonificio Fenili –, ma il distretto c'è ancora. Le aziende ci sono ancora, anche se hanno cambiato pelle. Innanzitutto non esistono più le specializzazioni di una volta. Bottoni di corno, di madreperla, di corozo, di osso, di resina di poliestere, di galalite, di metallo, di cuoio, di zama: si fa qualunque cosa per soddisfare le richieste di una clientela sempre più esigente, che ricerca competenza, elasticità e velocità nelle risposte e nella realizzazione di prototipi. Oggi la concorrenza estera è più aggressiva: cinesi, turchi, spagnoli. Per questo motivo bisogna puntare su un mercato di alta gamma, che però va servito da vicino, con estrema elasticità».

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi