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Questo articolo è stato pubblicato il 28 agosto 2012 alle ore 06:44.

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La filiera – che conta circa 4.500 addetti – in questi 20 anni è riemersa dal proprio bagno rigeneratore – come si fa per la pulizia dell'oro che viene immerso in acqua e bicarbonato – lasciando sul fondo solo chi non ha saputo o voluto competere. «Questi ultimi – spiega Francesco Barberis, presidente dell'Associazione orafa valenzana (Aov ) – si sono persi nella selezione naturale della specie. È rimasto chi eccelle in qualità, marketing, stili, ricerca e formazione. È rimasto chi ha saputo prevedere anziché vedere, chi ha investito e scommesso. Per questo abbiamo ancora un distretto e una filiera forti».

I numeri – che continuano a mostrare i segni di una cura dimagrante tenuta sotto controllo medico – vanno in questa direzione. Le imprese sono 1.380, di cui il 63% è artigiana (la media è di 3,4 addetti). Dentro questi numeri ci sono anche commercianti di pietre preziose, taglierie, banchi metalli, prototipisti, subfornitori di servizi specializzati ma, soprattutto, ci sono i pionieri dell'innovazione. Nel fondo o in caduta libera ci sono soprattutto quelli strangolati dai prodotti di fascia bassa, diventati ormai appannaggio della Cina, dove pure sono sbarcate alcune grandi aziende valenzane per fornire i mercati internazionali o riportare in casa prodotti che fare in Italia sarebbe ormai economicamente insostenibile.

Di arte e opere parla Graziano Cassola, amministratore della fabbrica di gioielleria fondata nel 1965 dal padre Gilberto, il cui fatturato viaggia verso il milione. I prodotti, che si trovano da Saint Moritz a Portofino passando per Montecarlo, sono di tendenza. Cassola innova anche nella definizione: li chiama "accessori di moda temporali". Senza prendersi troppo sul serio, dice che il suo gioiello, pur dai prezzi proibitivi per il comune cittadino, è un prodotto che "lei" può acquistare senza dover chiedere al ricco "lui", come potrebbe invece accadere per una creazione di Bulgari che pure a Valenza ha messo radici profonde.

Cassola pone l'accento su un'altra stortura che rischia di mettere in difficoltà il distretto. «Ampie fasce di gioiellieri trascinati dalle grandi aziende – spiega – lavorano ormai sul conto vendita. Così i gioielli restano anche per un anno dal rivenditore con costi elevati per chi li lascia in giacenza correndo il rischio che non vengano venduti ed essendo dunque obbligati a ritirarli e destinarli a nuovi rivenditori. In questo modo si funge da banca visto che si arriva a 400mila euro di merce in conto vendita».

Di arte e opere discetta Lorenzo Ricci, che aderisce con oltre 100 aziende a "Di Valenza Impronta Orafa", il consorzio nato nel 2007 per volontà di Aov a tutela della qualità. Lorenzo Ricci è anima e corpo di Rcm Gioielli. Due uffici: uno a Valenza e uno a New York. In quello di Valenza – spartano ma accogliente – fanno sfoggio straordinarie immagini e foto di pezzi unici che hanno varcato i confini italiani per essere indossati o dalle consorti di petrolieri, finanzieri e imprenditori di tutto il mondo.

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