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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2012 alle ore 06:44.

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LA SPEZIA - La burocrazia della legislazione regionale l'aveva posto al numero nove della lista dei distretti industriali sanciti dalla legge 33/2002. Quella con cui la giunta di allora aveva individuato 10 nuclei di aziende operanti nella medesima filiera produttiva, in diverse zone del territorio ligure. Penultimo dell'elenco era il distretto della navalmeccanica della Spezia. Una realtà che non esisteva solo sulla carta ma si espandeva sul territorio da molto prima che la Regione si decidesse a statuirla.

L'area di La Spezia è storicamente sempre stata al centro delle costruzioni e riparazioni navali, con lo stabilimento Fincantieri del Muggiano, quello di Ferrari-Signani (che costruiva piccole navi da crociera), i cantieri dell'Arsenale e nomi storici delle costruzioni navali, quali Inma, Intermarine, Beconcini (oggi Picchiotti, del gruppo Perini Navi), ai quali, nel tempo, si sono affiancati altri nomi storici come Baglietto, Riva (entrato nel gruppo Ferretti), Sanlorenzo e altre aziende meno note. Tutti cantieri che davano lavoro a numerose imprese dell'indotto.

Dunque era facile individuare, nella zona, un distretto della navalmeccanica (che avrebbe potuto estendersi, anzi, se la legge lo avesse consentito, anche a Ponente, verso Riva Trigoso, dove c'è un altro stabilimento Fincantieri, e verso la Toscana (Massa e Viareggio). E si poteva anche prevedere che un distretto nato non dalla penna del legislatore ma dall'effettiva presenza di aziende sul territorio avrebbe potuto usufruire appieno delle agevolazioni consentite, appunto, alle aziende appartenenti alla filiera. Sorprendentemente, invece, complice anche la crisi globale apertasi nel 2008, che ha colpito pesantemente la nautica, il distretto non ha mai funzionato e, come entità di aggregazione d'impresa, è esistito solo sulla carta.

Al punto che oggi, senza mai essersi ufficialmente sciolto, di fatto non esiste più. Che il comparto dell'industria navalmeccanica, però, sia tutt'altro che morto, lo dimostra il fatto che le aziende hanno preso un altro indirizzo. Quello della ricerca: molte delle più grandi, ma anche un centinaio di piccole e medie (raggruppate nel consorzio Tecnomar), si sono unite all'interno del Distretto ligure delle tecnologie marine (Dltm). Un distretto tecnologico (creato alla Spezia ma che accoglie imprese di tutta la Liguria), cresciuto sulla base della norma nata col decreto legislativo 297/99, che libera finanziamenti sulla ricerca, con l'intento di mettere insieme mondo universitario, enti di ricerca e imprese, per favorire lo sviluppo di progetti con marcata valenza industriale. «Il vecchio distretto della navalmeccanica – spiega Antonio Albano, che ne è stato l'ultimo presidente – è finito perché la legge sui distretti non era adeguata alle esigenze delle imprese. Ma non solo.

Con la crisi della nautica non c'era più ragione per cui una simile compagine potesse avere un minimo futuro». In effetti, se 20 anni fa il comparto navalmeccanico spezzino contava 3mila occupati, poi saliti ancora negli anni del boom della nautica, oggi gli addetti sono scesi, affermano fonti sindacali, a 1.200-1.300, compresi quelli dell'indotto.
«Bisogna anche ricordare – prosegue Albano (che guida la Navalmare, specializzata nella realizzazione di piattaforme marine offshore e gru) – che in questi anni, con globalizzazione e internet, è cambiato il mondo. E il concetto di distretto, concepito com'era, è nato forse già obsoleto. Tante aziende sono sparite perché il mercato è stato portato via loro dai cinesi o dagli indiani. Meglio, forse, lasciare perdere il distretto e muoversi dall'Italia andando a incontrare i mercati dove questi sono davvero. Navalmare, peraltro, partecipa al Dltm».

Nel settore della cantieristica, aggiunge Lorenzo Cimino, segretario della Cgil spezzina, «rispetto a 20 anni fa, c'è stato un calo dell'occupazione del 60 per cento. E soprattutto quasi non esiste più il sistema dell'indotto. Per quanto riguarda i marchi storici, Fincantieri risente fortemente della crisi e vive sulle commesse militari, perché la costruzione di grandi yacht (intrapresa dall'azienda, ndr) ancora non ha dato i ritorni economici sperati. Baglietto, dopo una lunga crisi, ha un nuovo proprietario (Beniamino Gavio, ndr) ma ancora non ha ripreso la produzione. Per Ferretti, con il cantiere Riva, non è ancora chiaro il futuro, dopo l'acquisto della maggioranza da parte dei cinesi di Shandong Heavy Industry. Inma, oggi ribattezzata Cantieri San Marco, costruisce solo rimorchiatori utilizzati dalla proprietà, la famiglia Calderan, per effettuare recuperi di navi in Argentina.

Intermarine sta chiedendo la cassa integrazione sia sul sito di La Spezia che a Sarzana. Sanlorenzo non ha fatto cassa ma comunque risente della difficoltà del mercato. Il sistema bancario, poi, contribuisce a strozzare i produttori e le aziende dell'indotto. Il problema è soprattutto la liquidità, con pagamenti a 3, 6,12 mesi e gli istituti di credito che hanno chiuso i rubinetti».
Sull'indotto, però, Carlo Argilla, presidente della sezione navale e nautica di Confindustria La Spezia, nutre ancora speranza. «È rimasta un'industria minore dell'indotto della navalmeccanica, con aziende che non hanno sbocco sul mare ma lavorano in cantieri di tutta Italia, forti di una grande tradizione di carpenteria, motoristica, trattamento delle superfici e verniciatura.

Esistono almeno 20-25 imprese, con un numero di dipendenti variabile tra 15 e 50, più una serie di piccole realtà artigiane, che operano nell'indotto, in Liguria e fuori. E poi, nonostante la crisi, c'è ottimismo sul versante delle riparazioni navali. Ad esempio l'Arsenale militare fa grandi manutenzioni, con consistente indotto». Se, sotto il profilo della coesione industriale, la navalmeccanica si è sfilacciata, ad aggregare imprese del settore e centri di ricerca ci sta provando il Distretto delle tecnologie marine che, spiega il direttore scientifico, Lucio Sabbadini, gestisce progettualità per 100 milioni di euro, a fronte di 80 milioni di finanziamenti (35 di credito agevolato e 45 a fondo perduto).

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