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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2012 alle ore 07:48.

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Il sottile strato di sabbie, argille e feldspati si deposita sul rullo e viene ingoiato dalla macchina. Duecentotrenta metri dopo diventa una lastra di gres porcellanato spessa appena tre millimetri.

La linea produttiva davanti a noi è un piccolo corso accelerato che sintetizza i motivi del successo del distretto emiliano della ceramica, forte di un centinaio di aziende e capace di resistere e addirittura crescere pur in presenza di una concorrenza globale sempre più agguerrita.
Lungo l'impianto di monocottura del gruppo Panaria, 293 milioni di ricavi e 1.600 addetti tra Italia, Stati Uniti e Portogallo, lavorano solo tre persone per turno, al resto pensano le macchine, rigorosamente made in Italy, qui come in tutto il comprensorio.
«Mai venuto in mente di comprare altrove – spiega il titolare della Fincibec Angelo Borelli, 80 milioni di ricavi con 435 addetti – ho appena staccato un assegno da 450mila euro per un nuovo macchinario, sono attrezzature che devono funzionare. Non scherziamo mica, il meglio della tecnologia è proprio qui». E non per caso.

Tra Modena e Reggio Emilia, con il proprio cuore a Sassuolo, si è sviluppato infatti il primo polo mondiale della ceramica, capace di tirare la volata ad un'intera fliera a monte e a valle, dai macchinari agli additivi, dalle stampanti hi-tech agli inchiostratori, dalla componentistica meccanica ai collanti.
Vent'anni fa i produttori diretti fatturavano 2,3 miliardi, oggi balzati a quota 3,8, dunque in lieve crescita anche rispetto all'inflazione di periodo. L'arrivo della Cina ha cambiato le regole del gioco, decuplicando la produzione mondiale fino a sfiorare i 10 milioni di metri quadri. Uno shock che avrebbe potuto distruggere la nostra capacità competitiva e che invece è stato assorbito e metabolizzato. Il numero delle aziende, è vero, si è più che dimezzato, ma questo è avvenuto non solo a causa delle chiusure ma anche attraverso accorpamenti e acquisizioni.

Come risultato, le dimensioni medie delle imprese dal 1992 ad oggi sono praticamente raddoppiate, passando da 108 a 192 addetti, così come più che raddoppiata è la produzione, arrivata oggi a quasi quattro milioni di metri quadri per ogni realtà produttiva. In media, ciascuna delle 82 aziende del distretto tra Modena e Reggio Emilia fattura 46 milioni, dimensioni inarrivabili per la maggior parte dei distretti industriali italiani.
«E meno male – racconta il presidente di Panaria Group Emilio Mussini – perché solo così è stato possibile contrastare la concorrenza asiatica e continuare ad investire in tecnologia d'avanguardia». Panaria, società quotata, ogni anno investe in ricerca il 3% dei ricavi e ha seguito negli anni un percorso simile a molte aziende del comprensorio: ridisegno dei processi produttivi, recupero di produttività, specializzazione sempre più spinta degli impianti per ridurre i costi unitari.

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