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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2012 alle ore 15:15.

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Dalla «626» la spinta alle scarpe pugliesiDalla «626» la spinta alle scarpe pugliesi

BARLETTA - La sindacalista della Cisl, Damiana Sivo, sfoglia il suo cronicario della crisi calzaturiera: «Almeno duecento aziende chiuse nel giro degli ultimi quindici anni».
Per il distretto della calzatura di Barletta e Trani vale lo stesso spartiacque che segna l'avvento di un nuovo calendario: prima e dopo dell'euro. Non che prima del 2000 il distretto fosse strutturato e formalizzato come quelli del Nord, ma i pugliesi di mare avevano comunque generato un effetto moltiplicatore combinando il cromosoma mercantile del Levante con la flessibilità naturale di questi luoghi.

Un combinato disposto che ha (o meglio, aveva) creato e distribuito ricchezza per tutti.
Racconta la Sivo: «Capitava spesso che in una famiglia di cinque persone, quattro fossero dipendenti di calzaturifici. C'erano padri di famiglia che facevano otto ore in un'aziendina e otto in un'altra in nero. Una vita infame, ma i soldi venivano giù come in una slot machine».
La slot machine si è spenta. Ma non per tutti. La feroce selezione darwiniana ha creato delle aziende da manuale e altre che arrancano, in una lotta estenuante per piazzare un prodotto medio basso in un mercato che non ne vuol sapere di ripartire. Ci sono artigiani che sgobbano dalla mattina alla sera in capannoni tirati su con la 488 che d'estate, per risparmiare sul costo dell'aria condizionata, si trasformano in saune.

Al calzaturificio Monte di Trani il patriarca settantaduenne taglia la pelle alla trancia mentre impreca contro la politica e i politici: «Metà dei deputati e senatori se ne devono andare. Chi vuole creare un partito politico è liberissimo di farlo, ma con i soldi suoi». Il figlio del fondatore, Francesco, in pantaloncini corti e canottiera bianca zuppa di sudore, tiene in mano una scarpa da donna in finta pelle rossa (la pelle è cinese) con tacco di dieci centimetri. Impreca: «Al 3 di settembre i miei fornitori marchigiani sapete che mi hanno detto? Non accettiamo ordini perché non sappiamo se riapriamo. Dove lo trovo un altro fornitore? Come mi giustifico con i miei operai? Qui dal Duemila si è scatenato il finimondo: euro, torri gemelle, globalizzazione, Cina. Questa scarpa la vendo a 23 euro, ma nei negozi la trova a 89. Però i clienti pagano nove mesi dopo aver ricevuto la merce. La morale è semplice: nun c'ia facimm cchiù!!».

Inutile chiedere quanti dipendenti ci siano in ogni singola azienda. Risponde la Sivo: «Si fermano tutti alla soglia dei quattordici». Nel condominio centro tranese, l'edificio all'interno del quale sono allineate molte piccole aziende artigiane, quattro aziende su diciotto sono fallite nel giro di qualche anno. Quello delle calzature da donna (l'altra specializzazione del distretto sono le safety shoes, le scarpe da lavoro) è un segmento concentrato soprattutto a Trani, e ormai in crisi da molti anni. Chi è sopravvissuto con prodotti di fascia medio-bassa, quella fagocitata dal Far East, è perennemente in trincea. Un giro in macchina per le diverse zone industriali che uniscono Barletta a Trani, con i grandi silos del porto barlettano che fanno da sfondo, sono più esemplificative di una ricerca sul campo. I nomi delle strade, prima di tutto. Che alternano toponimi locali con i nomi Euro, Unione europea, Lavoro. Tre parole critiche, a sentire imprenditori e operai.

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