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Questo articolo è stato pubblicato il 19 novembre 2012 alle ore 10:14.

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Un'immagine delle cantine Terra dei re a Rionero del Vulture, una delle aziende dove si produce l'AglianicoUn'immagine delle cantine Terra dei re a Rionero del Vulture, una delle aziende dove si produce l'Aglianico

RIONERO IN VULTURE (PZ). Dal nostro inviato
Non inganni la Basilicatashire, una successione di estensioni di grano che senza soluzione di continuità si alternano a uliveti, boschi, terreni di pascolo e vigne incendiate dai colori dell'autunno: quello del Vulture, Lucania non più felix, è il primo e unico distretto "liquido" italiano. Non solo nel senso baumaniano (un distretto incerto con una legge regionale che ne faceva uno strumento burocratico con tanto di Cda in eterno regime di prorogatio e i finanziamenti azzerati), ma soprattutto in senso letterale: latte, olio (ha appena ricevuto la Dop), vino (promosso al rango di Docg), sei fonti di acque minerali e cento chilometri più in là, in Val d'Agri, l'oro nero.

La parola chiave è Vulture, un'area vulcanica dominata dal severo profilo del monte omonimo, 1.326 metri sul livello del mare. Qui cresce l'uva aglianico decantata duemila anni fa dal poeta romano Orazio, seguace di Epicuro e autore dell'Ars vivendi, lo stesso che coniò termini molto di moda tra i contemporanei come "carpe diem" e "aurea mediocritas". La vulgata moderna, una sorta di ritornello coast to coast, è invece «non c'è barolo senza Barile», dal nome di uno dei tre paesi epicentro del distretto (Rionero in Vulture, Venosa e per l'appunto Barile). Una piccola burla, ma neanche troppo, con la quale, per analogia, si fa coincidere il barolo con l'aglianico. Un grande vino tannico e spigoloso spremuto da produttori ormai accreditati nel panorama vitivinicolo nazionale che però faticano a trovare tra loro un punto di sintesi.

La prova del nove? Ancora non esiste un marchio unico che ricomprenda tutte le etichette della zona. La frammentazione, narra l'aneddotica, esplose fragorosamente sul set di "Basilicata coast to coast", quando il regista Rocco Papaleo chiese al suo assistente una bottiglia di vino da immortalare in una scena del film. Furono minuti di ricerche frenetiche e vane. L'autore e regista fu costretto ad arrendersi all'evidenza che quel marchio proprio non esisteva. Le 64 aziende vitivinicole della zona hanno discusso alacremente in questi anni degli ingenti investimenti per rinnovare le loro cantine, in parte finanziati da fondi europei intercettati dalla Regione Basilicata, ma stentano a individuare una strategia comune per emergere in un mercato sempre più competitivo.

Premessa doverosa: la Basilicata è la terza regione più piccola d'Italia, dopo Valle d'Aosta e Molise. Inutile scomodare Federico II, che ne fece il suo territorio prediletto di caccia, ma le condizioni orografiche di questo territorio (ampia superficie con bassa densità di abitanti) e culturali (forte individualismo esacerbato da una vocazione più rurale che mercantile) non sono certo il lievito ideale per un distretto, sia esso industriale o agroalimentare. Per fortuna a riparare i torti degli uomini e di una Regione sempre più assorbita dalle dinamiche politiche tra le componenti del Pd, con i due king maker - il governatore Vito De Filippo (ex Margherita) e il presidente del Consiglio regionale Vincenzo Forino (Pd) - protagonisti di una vera e propria diarchia, ci hanno pensato i Pif, i progetti integrati di filiera, uno per ogni prodotto o settore (grano, olio, vino e carne).

Quello del vino è incentrato sulla comunicazione, con un finanziamento regionale di oltre un milione di euro, per due terzi a carico delle casse pubbliche e un terzo da suddividersi tra i produttori. I guai sono cominciati quando si è trattato di calcolare la quota dei viticoltori e concordare una strategia commerciale. Qual è il modo migliore di comunicare l'aglianico del Vulture? Una campagna tv o un film sul modello "Basilicata coast to coast"? Di idee ce n'erano troppe e quasi sempre in conflitto tra loro, tanto che almeno quattro aziende hanno deciso di sfilarsi dal progetto. Il presidente del consorzio "Qui Vulture" è Gerardo Giura Trabocchetti, "il notaio", come lo chiamano a Rionero, per via del nome delle sue cantine e la discendenza di una famiglia di notari appassionati di vino. Il nonno e il padre si dilettavano nella coltivazione delle vigne; Gerardo, con laurea in agraria, ne ha fatto il suo unico mestiere. Spiega Giura Trabocchetti: «Crediamo sia giusto far pagare i produttori in base alle bottiglie prodotte.

Di aglianico se ne fanno 2 milioni all'anno. E pensiamo di chiedere un contributo di cinque centesimi a bottiglia in cambio della fascetta che ne certifichi la provenienza». Tutto chiaro, se questo sistema non avesse la controindicazione di censire, senza possibilità di fuga, ogni singola bottiglia. Chiosa Giura Trabocchetti: «Se uno nasce tondo, non può diventare quadrato». Un messaggio implicito a favore della trasparenza lanciato ai soci del consorzio. Malgrado le grane, "il notaio" vede sempre il bicchiere pieno. E ammette: «Inutile negare che i pugliesi siano molto più svegli dei lucani. Dipende dai loro cromosomi. E dalla loro spiccata capacità commerciale. Qui da noi le discussioni tra gli agricoltori sono incentrate sulla vigna: la mia è più bella della tua, rivaleggiano i contadini. In Puglia, invece, si va al sodo, alla commercializzazione e, dunque, ai quattrini». Incalza Vito Paternoster, delle cantine omonime: «A noi serve comunicare un territorio, non semplicemente il nostro vino. Al Nord, ma anche in alcune regioni del Centro Italia, pensano che il Vulture sia in Molise o in Calabria. L'affermazione del terroir, insomma, viene prima di tutto». Un territorio attraversato negli anni passati dalla frenetica compravendita delle vigne. Con quotazioni che dal 2003 in poi sono passate da 20mila a 120mila euro a ettaro. Sembrava che, come accade a Montalcino o a Valdobbiadene, il valore dei terreni dovesse crescere a dismisura. Così non è stato. E negli ultimi due anni si è assistito a un crollo vertiginoso delle quotazioni. Con conseguente esposizione bancaria di molti vignaioli.

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