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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2012 alle ore 09:03.

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Quindici anni fa, quando Il Sole 24 Ore descrisse per la prima volta il "fenomeno" del polo fiorentino della pelletteria di lusso, le stime se le dovette fare "in casa". Nessun economista s'era (ancora) chiesto quale fosse il peso di questa concentrazione di piccole aziende che da Firenze si irradiava a est verso Pontassieve, a ovest verso Scandicci, e a sud-est in direzione del Valdarno, e che sempre più massicciamente produceva borse e portafogli per le griffe; e non se l'era chiesto, semplicemente perché a Firenze i pellettieri c'erano sempre stati, interpreti di un'antica tradizione artigianale. Dunque, cosa c'era di nuovo?

Di nuovo c'era la conversione, perlopiù silenziosa, di artigiani no-brand dal grande saper fare e dallo scarso saper-vendere, a contoterzisti dei grandi marchi del segmento lusso, intenti a costruire una catena produttiva lunga e articolata adattandola alle esigenze delle griffe.

«A metà degli anni Novanta le griffe hanno cominciato a rafforzarsi e ad assumere stilisti per le linee di pelletteria, e anche la modalità di produrre in outsourcing è cambiata», racconta Franco Baccani, presidente della sezione Pelletteria di Confindustria Firenze e titolare della B&G di Lastra a Signa, 9,5 milioni di fatturato 2012 realizzati producendo borse per i nomi top della moda mondiale. «Dai garage e dai sottoscala, dove la pelletteria fino a quel momento era sempre stata, si è così passati a produrre nei capannoni – aggiunge Baccani – e le aziende hanno cominciato a strutturarsi pur mantenendo sempre l'artigianalità, che resta la vera forza».

Il motore del cambiamento è stato Gucci, l'azienda fondata nel 1921 a Firenze protagonista di una straordinaria crescita a partire dagli anni Novanta del secolo scorso che, entrata nel 1999 a far parte del gruppo francese del lusso Ppr, mantiene testa e gran parte della produzione in Toscana. Gucci, insieme con Ferragamo, altro grande marchio fiorentino in forte crescita, ma anche con Prada, Fendi e Céline (gruppo Lvmh), ha stimolato la crescita dei laboratori artigiani, l'organizzazione produttiva (oggi in molti casi strutturata in fornitori di primo livello, che acquisiscono la commessa dalla griffe, e subfornitori che lavorano per il primo livello) e l'evoluzione tecnologica.

E così, in pochi anni, il know how, la qualità e la flessibilità dei pellettieri fiorentini hanno attirato a produrre nell'area tutti i grandi nomi della moda mondiale, da Bulgari a Cavalli, da Valentino a Tod's, da Dolce & Gabbana a Trussardi, compresi i marchi americani (Ralph Lauren, Donna Karan, Tommy Hilfiger, Marc Jacobs) e una lunga lista di francesi tra cui Chanel, Cartier, Louis Vuitton, Yves Saint Laurent e Dior, quest'ultimo in procinto di trasferire la direzione pelletteria Italia a Scandicci, in un capannone di quattromila metri quadrati proprio di fronte alla sede di Gucci.

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