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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2012 alle ore 09:03.

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La crescita è stata eccezionale: nel giro di un decennio il distretto fiorentino della pelletteria di lusso ha triplicato la produzione, diventando il più importante centro manifatturiero al mondo in questo segmento; e stimolando la nascita di un polo della meccanica applicata alla lavorazione della pelle che abbraccia produttori di macchinari ma anche di fibbie, chiusure e altri accessori metallici. Oggi il distretto conta 2.500 aziende specializzate in borse, portafogli e valigie, con 17mila addetti e, secondo le ultime stime di Confindustria Firenze, quasi sei miliardi di volume d'affari 2011, di cui 2,3 all'export (+29,6% rispetto al 2010). Il 2012 è stato un altro anno di forte crescita, con l'export salito del 12,3% nei primi sei mesi. E con ulteriori investimenti, come quello concluso nel giugno scorso da Montblanc (gruppo del lusso Richemont). «Il board tedesco ha deciso di riorganizzare la catena produttiva e di concentrare in Toscana la divisione pelletteria, che prima era in Germania – spiega Giacomo Cortesi, ad di Pelletteria Montblanc, 40 milioni di fatturato –. Ora la gestione della produzione avviene nel nuovo stabilimento di Scandicci, che ha richiesto un investimento di alcuni milioni e che conta 50 addetti. E il motivo è che l'area fiorentina è stata considerata come quella d'eccellenza, esattamente come la Svizzera lo è per gli orologi».

Un'area che – forte delle sue competenze e della vicinanza col distretto della concia di Santa Croce sull'Arno (Pisa) che assicura gran parte delle materie prime – è una delle poche a non temere la concorrenza della Cina: chi vuol produrre pelletteria di qualità, è la convinzione degli operatori, deve venire qui, perché il distretto non è esportabile. E infatti è in atto una corsa per venire a produrre pelletteria made in Italy nel territorio fiorentino (in qualche caso trasferendola dalla Cina o dalla Romania), con quotidiane perlustrazioni di marchi di mezzo mondo alla ricerca di contoterzisti che realizzino le linee. Il rischio, a questo punto, è che la capacità produttiva sia insufficiente a soddisfare tutti.

E infatti, pur avendo davanti buone prospettive assicurate dalla corsa delle griffe del lusso sui mercati mondiali (e dal crescente peso che la pelletteria sta conquistando nei loro bilanci), il distretto fiorentino soffre di due sindromi da correggere in fretta: piccole dimensioni aziendali e scarsa formazione professionale.

Sul primo fronte, è necessario che l'evoluzione che ha interessato i produttori di "primo livello" si estenda anche ai subfornitori o, come li chiamano qui, ai "gruppi esterni". «Il passaggio epocale è riuscire a far crescere le piccole aziende della subfornitura – dice Massimiliano Guerrini, titolare della Almax di Scandicci, produttrice di borse Gucci con 13 milioni di fatturato 2012 e 80 dipendenti diretti più 300 all'esterno – e farle crescere sul fronte imprenditoriale oltre che su quello dei numeri: bisogna far sì che queste aziende abbiano un patrimonio, riescano a capitalizzarsi e ad avere accesso a tecnologia e formazione». È in quest'ottica che Confindustria Firenze (che associa 70 aziende pellettiere, 100 con quelle di accessori) sta puntando sulle reti come strumento per diffondere la cultura d'impresa a tutti i livelli della filiera produttiva. «Abbiamo già costituito 9 reti d'impresa tra aziende fornitrici e subfornitrici di Gucci – spiega Baccani – e altre due reti sono in via di realizzazione.

L'obiettivo è trasferire competenze e know how alla filiera, per far crescere il distretto e assicurare maggior flessibilità e migliore organizzazione. Finora l'elemento che ha attirato di più nelle reti è la formazione». E proprio per sviluppare la formazione, seconda cura necessaria al settore, si guarda all'intesa firmata due mesi fa tra categorie economiche e istituzioni guidate dalla Regione Toscana, che si sono impegnate a stanziare risorse per qualificare imprenditori e lavoratori (sia giovani che disoccupati) e per rilevare i fabbisogni occupazionali delle aziende. Già oggi le previsioni degli addetti ai lavori dicono che, nei prossimi tre-cinque anni, il distretto fiorentino assorbirà dai tremila ai cinquemila nuovi lavoratori.

La grande sfida sarà dunque quella di formare la manodopera necessaria a far fronte alla domanda, trasmettendo le conoscenze dei vecchi pellettieri. E facendo evolvere i corsi dell'Alta scuola di pelletteria italiana (Aspi) di Scandicci, finora limitati a 250-500 ore. «Vedo rischi legati alla mancanza del ricambio generazionale – dice Cortesi di Montblanc – soprattutto perché scarseggia la dignità del lavoro del pellettiere: dobbiamo ridare la giusta nobiltà a questo mestiere». Passi avanti il settore ne sta facendo invece sul fronte della tracciabilità del prodotto, tema caro al consorzio Centopercento italiano (45 aziende associate) che difende il vero made in Italy.

Proprio Andrea Calistri, presidente del consorzio, il 15 gennaio presenterà un progetto di filiera promosso dalla sua Sapaf (3 milioni di fatturato, 30 dipendenti) per estendere la tracciabilità delle borse anche a monte, alle concerie. E i subfornitori cinesi che producono a basso costo anche per le griffe? «Buona parte di quelle aziende sta arrivando all'emersione completa e si sta integrando nella filiera – annuncia Calistri – spinta dalla necessità: se vogliono lavorare per le griffe, oggi anche i cinesi devono avere requisiti e certificazioni».

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