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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2013 alle ore 16:21.

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Il nome ancora non è ufficiale, ma il salvataggio del marchio storico di cucine Berloni sembra ormai cosa fatta. Il patron Marcello Berloni ha diffuso l'annuncio questa mattina dal quartier generale di Montelabbate (Pesaro) - dove ci sono 370 dipendenti in cassa integrazione, oltre un terzo a zero ore - confermando trattative alle battute finali con investitori esteri per la costituzione di una newco, «che porterà non solo nuova liquidità, ma anche nuove commesse, ma la conclusione positiva delle operazioni - avverte - è subordinata alla temporanea continuità dell'attività operativa e alla conclusione positiva del concordato in corso». Scadono, infatti, tra due settimane i termini per presentare il piano di rilancio atteso ormai da quattro mesi, visto che l'azienda ha depositato in tribunale la richiesta di concordato preventivo (per continuità aziendale) lo scorso 15 ottobre.

Berloni tiene il massimo riserbo sui nomi dei gruppi - uno industriale/finanziario e uno distributivo, pare, del Far East secondo le voci che circolano, «che operano in aree di forte sviluppo», è ciò che dice l'azienda) - perché «vanno affrontati tutti i dettagli dell'operazione, anche quelli di natura fiscale e burocratica, per arrivare di fronte al giudice con le carte in regola e tutta la trasparenza necessaria perché possa esprimere un parere favorevole sulla proposta di concordato e ottenere dagli istituti di credito quelle facilità operative necessarie per proseguire nel piano di rilancio e il recupero dei fatturati di vendita».

Per quanto riguarda il futuro dei dipendenti, l'azienda parla di «un'importante azione sinergica con le istituzioni locali, per creare quel clima favorevole affinché i lavoratori non subiscano ulteriori penalizzazioni per effetto dell'imminente esaurimento degli ammortizzatori sociali». I sindacati temono che il veicolo della newco permetterà di assorbire neppure la metà delle maestranze, mentre si avvicina anche la fine dei quattro mesi di Cig in deroga concessi, scaduti i due anni di cassa straordinaria.

Ma la rassicurazione arrivata poche ore fa da Marcello Berloni – che ha fondato l'icona delle cucine made in Italy nel 1960 assieme al fratello Antonio e con il quale sembra aver ritrovato un'unitarietà di intenti dopo i contrasti dell'ultimo anno - lascia presumere che la prossima settimana inizieranno anche a essere pagati gli stipendi arretrati, fermi allo scorso ottobre.

Dunque non una semplice cessione di marchio e asset della casa pesarese ma una società condivisa con partner industriali e commerciali che permetta fin da subito di fare cassa con l'export, il vero handicap di Berloni: il mercato italiano ha assorbito negli ultimi dieci anni il 70% delle vendite e i fatturati in crescita oltreconfine non sono mai riusciti a compensare le perdite interne (solo nel 2012 il +14% sulle piazze estere si è dovuto confrontare con un -23% in Italia). Con l'aggravante del maxinvestimento da 20 milioni di euro per il nuovo quartier generale produttivo (dopo che nel 2003 un incendio distrusse il vecchio sito) da rimborsare.

Da qui il piano industriale del 2010 targato Ernst&Young, dopo un quinquennio di emergenze finanziarie coperte dalla famiglia Berloni con risorse proprie e dopo aver scartato l'offerta di acquisto da parte di Colombini. Un piano per ritornare al core business delle cucine, cedendo in licenza d'uso il marchio Giornonotte ai veneti di Iq, chiudendo i reparti antine, top e semilavorati e mettendo e 160 lavoratori in Cigs a zero ore. Ma la recessione del 2012 e la chiusura dei rubinetti da parte delle banche hanno fatto precipitare la situazione, costringendo l'azienda a bussare alla porta del tribunale.

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