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Questo articolo è stato pubblicato il 28 marzo 2013 alle ore 10:55.

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L'ingresso del grande magazzino RT-Mart a Haikou, isola di Hainan (Imaginechina)L'ingresso del grande magazzino RT-Mart a Haikou, isola di Hainan (Imaginechina)

Per secoli è stato il sogno dei mercanti occidentali: riuscire a vendere un broccato, un vaso, un frigorifero anche solo a un cinese su mille. Per realizzarlo, hanno investito ingenti capitali per andare alla conquista della Via della Seta organizzando spedizioni cammellate, noleggiando imbarcazioni, costruendo porti e ferrovie. Ma la maggior parte è tornata a casa con le pive nel sacco.

Con la globalizzazione il sogno si è trasformato in un'autentica ossessione. Il risultato, però, non è cambiato: oggi come ai tempi di Marco Polo, vendere qualcosa a un cinese ricavandoci un profitto resta impresa in cui si cimentano in molti ma riescono in pochi. Il motivo dello storico insuccesso è semplice quanto disarmante: i cinesi sono un popolo di grandi risparmiatori. Il Dragone ha la più bassa propensione al consumo di qualsiasi altra grande economia sviluppata o emergente. Dal 2000 al 2010 il contributo dei consumi domestici alla formazione del prodotto interno lordo è sceso dal 62 al 47 per cento. Frattanto, la spesa delle famiglie ha subito un analogo ridimensionamento riducendo la propria incidenza sul Pil dal 46 al 34 per cento. Noccioline rispetto al 63% dell'Indonesia, al 69% di India e Corea, al 79% del Giappone all'88% degli Stati Uniti.

Le cose, però, stanno cambiando. Per una combinazione di molteplici fattori. Il primo è di carattere politico. Per rompere la storica dipendenza dell'economia cinese dalle esportazioni, che espone l'industria manifatturiera alle bizze della domanda mondiale, Pechino vuole assolutamente cambiare il modello di sviluppo aumentando il peso dei consumi domestici nella formazione del Pil.

Il grande disegno strategico che prevede la trasformazione delle formiche cinesi in cicale trova conforto in una serie di mutamenti economico-sociali ormai inarrestabili. I ricchi stanno diventando sempre più ricchi e numerosi. La classe media si allarga a ritmo incalzante e il suo potere d'acquisto lievita a vista d'occhio. La casa di proprietà, tradizionalmente un potente volano per le spesa delle famiglie, è un fenomeno sempre più diffuso. La gente, soprattutto i giovani, risparmia meno e spende di più rispetto al passato. Poi c'è l'urbanizzazione. «Il mercato del largo consumo cinese sta conoscendo uno sviluppo senza precedenti e lo testimonia il numero crescente di città che stanno diventando nuove piattaforme di spesa privata», spiega James Sinclair di Interchina.

Se fino a una decina di anni fa le nuove cicale cinesi popolavano solo le cosiddette "città di prima fascia", le quattro grandi metropoli costiere - Pechino, Shanghai, Shenzhen e Canton - oggi oltre la Grande Muraglia ci sono oltre 600 agglomerati urbani di seconda, terza, quarta fascia, che gravitano o iniziano a gravitare nell'orbita del grande consumo. «La maturazione del mercato nelle città minori sta avvenendo a una velocità impressionante», osserva Riccardo Battaglia consulente a Shanghai. In questo scenario, qual è lo spazio di penetrazione per le aziende straniere? «Sicuramente più ampio rispetto al passato, grazie anche al miglioramento delle reti distributive che fino a qualche anno fa erano molto rozze e frammentate», risponde Sinclair. Ciononostante, anche oggi il mercato del largo consumo cinese resta appannaggio di player con le spalle grosse. Il che significa grandi multinazionali, o aziende di medie dimensioni titolari di marchi e caratterizzate da una forte proiezione internazionale.

A patto che sappiano adeguare le loro strategie alla rapida trasformazione del mercato cinese. «Le multinazionali devono essere pronte a innovare per reclutare i nuovi consumatori perché molti concetti utilizzati finora, a partire dal branding, in molti settori non sono più sufficienti per avere successo», aggiunge Sinclair. Un mercato che muta continuamente alla stessa velocità con cui si sviluppa per ampiezza geografica e dimensioni. «Nel settore moda, per esempio, oggi il consumatore è molto più informato sia sulla qualità che sul prezzo di ciò che acquista - spiega Battaglia -. Se una volta cercava il marchio per il marchio, adesso valuta con attenzione e competenza le caratteristiche intrinseche. E chi ha molti soldi in tasca non compra più il prodotto più caro per essere sicuro di non sbagliare, ma è disposto a pagare un premio solo a fronte di un maggior valore percepito».

Insomma, i tempi in cui per sbaragliare il campo oltre la Grande Muraglia era sufficiente importare un famoso marchio straniero sono finiti. E chi desidera ardentemente una Ferrari, una Lamborghini o una Porsche non compra più il brand a scatola chiusa, ma prima di mettere mano al portafoglio ci pensa due volte e sceglie consapevolmente. Oggi come cinque secoli fa, la conquista della Via della Seta non sarà una passeggiata.

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