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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2013 alle ore 06:45.

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La scommessa degli impianti a norma

«Noi facciamo parte di una multinazionale che ha deciso di far rimanere qua una parte importante dell'attività di ricerca e sviluppo. Ma se il mercato domestico non sorregge la domanda, sarà difficile per l'industria italiana non abdicare a questa leadership».

Paolo Perino è presidente a consigliere delegato di Btcino, realtà leader nella produzione e distribuzione di impianti elettrici ad uso civile, industriale, terziario, che fa parte del gruppo francese Legrand. Nel 2012 l'azienda ha chiuso con un valore della produzione di 857 milioni di euro (a fronte dei 927 del 2011), ma con utili per 156 milioni. Un buon risultato, insomma, ma anche da queste parti si avverte tutta la necessità «di interventi per far girare gli impianti. È importante fare di tutto per rilanciare la dinamica dei volumi e delle vendite».

È in questo quadro che si inserisce l'appello risuonato con forza l'altro ieri durante l'assemblea di Confindustria Anie. L'assise della Federazione delle imprese elettrotecniche ed elettroniche ha consegnato un messaggio valido per tanti altri piccoli e grandi comparti della manifattura italiana. Ci sono insomma interventi che nella loro semplicità (e in alcuni casi scontatezza) appaiono alle stesse imprese come possibili detonatori per una ripresa quanto mai agognata dopo cinque anni di recessione. Le imprese dell'Anie ce l'hanno la loro pietra filosofale: un programma di messa a norma e di adeguamento graduale degli impianti elettrici. «Sono anni che mi batto su questo fronte», afferma Domenico Bosatelli, presidente di Gewiss e vicepresidente Anie con delega ai Rapporti istituzionali.

A parte «il problema di sicurezza con tutti i costi sociali che comporta», Bosatelli tiene a evidenziare che ci sarebbe un'innegabile vantaggio in termini economici per un comparto da 425mila addetti che ha chiuso il 2012 con un fatturato di 63 miliardi di euro, in flessione del 12,1% rispetto al 2011 che sale al -16% se si considera l'intero biennio 2011-2012. «Abbiamo stimato fra i 50mila e i 100mila posti di lavoro in più fra gli installatori. E questo senza considerare l'impatto per le aziende produttrici».

Il ragionamento è semplice e parte dai dati. In Italia ci sono infatti fra 10 e 12 milioni di abitazioni fuori norma. Si parla quindi di un terzo degli edifici residenziali esistenti. «Le norme – aggiunge Bosatelli – ci sono. Il problema è l'assenza di controllo. Caldaie e ascensori devono essere controllate obbligatoriamente. Non si capisce perché questo non debba avvenire per gli impianti elettrici».

L'adeguamento degli impianti era un'esigenza già sentita nel 1990, quando si arrivò all'emanazione della legge 46. La norma prevedeva l'attuazione di un sistema di verifiche sotto la responsabilità dei Comuni. L'assenza di risorse ha in sostanza bloccato questo punto. Nel 2008 c'è stata poi una revisione con il Dm 37/2008 che prevedeva l'obbligo di allegare ai contratti di compravendita la dichiarazione di conformità, abrogato successivamente. È rimasta la previsione dell'obbligo di verifiche, ma rinviando a un decreto successivo, che a oggi non è ancora stato adottato. La questione delle verifiche è così rimasta scoperta, a fronte del bonus fiscale (oggi al 50%) esistente da anni. «La messa a norma degli impianti elettrici – precisa Claudio Andrea Gemme, presidente dell'Anie che l'altroieri ha puntato con forza su questo messaggio – è un fatto obbligatorio. Ci sono 50mila incidenti all'anno dovuti a problemi agli impianti elettrici». Rimanendo sul fronte delle ricadute economiche «ci sono tutta una serie di vantaggi, dalle fabbriche che producono ai distributori agli installatori».

Anche sui benefici per le casse dell'Erario (si veda intervista in pagina) l'asticella sembrerebbe pendere dalla parte delle imprese. «Presenteremo a breve un rapporto dettagliato sui vantaggi di questo intervento». Che ha come conditio anche il rendere stabile la detrazione del 50% per le ristrutturazioni edilizie, rendendola fruibile in termini più brevi rispetto ai 10 anni attualmente previsti.