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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2013 alle ore 09:53.

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Frutta e verdura, cala l'export ma i prezzi salgono. Gli Usa si aprono alle nostre mele

Il carrello della spesa delle famiglie contiene sempre meno frutta e verdura. Sul mercato interno e all'estero, dove i prodotti made in Italy soffrono la concorrenza sempre più accesa della Spagna e degli altri paesi del bacino Mediterraneo, e di altri lontani, come Argentina e Cile, Cina e Nuova Zelanda.

Il settore ortofrutticolo italiano si conferma comunque leader europeo e ai vertici mondiali. Con un valore alla produzione di circa 12 miliardi, che volano oltre i 22 con l'indotto. Quest'anno, complice una produzione più scarsa, gli agricoltori stanno spuntando prezzi mediamente remunerativi. Con punte che fino a luglio, come ha rilevato l'Ismea, sono risultate superiori anche del 40% rispetto al 2012.

Il problema è che la domanda di questi prodotti resta debole. L'Osservatorio dei consumi ortofrutticoli delle famiglie italiane di Macfrut (la rassegna internazionale di settore organizzata da Cesena Fiera, dal 25-27 settembre) evidenzia che la spesa è ormai scesa sotto la soglia dei 14 miliardi. Intanto, i numeri al giro di boa di metà anno indicano un peggioramento dei conti con l'estero, dove l'ortofrutta nazionale realizza circa un quarto del proprio giro d'affari. In base ai dati diffusi da Fruitimprese (l'associazione nazionale degli importatori esportatori), risulta che tra gennaio e giugno l'aumento dei prezzi ha consentito all'export di crescere di quasi il 9%, ma con un calo delle spedizioni del 13%. E questo mentre le importazioni nel complesso sono aumentate del 6,4% in quantità e del 14,9% in valore. Fermando il saldo commerciale attivo del semestre a 344 milioni circa (-13%).

«Il calo delle esportazioni – osserva Marco Salvi, presidente di Fruitimprese – è dovuto soprattutto alla scarsa disponibilità di prodotto dell'anno scorso. Mentre sul fronte dell'import abbiamo il problema degli agrumi». Prodotti che un tempo l'Italia esportava a go-go, ma che negli ultimi anni sono stati schiacciati dalla concorrenza di altri paesi, a partire proprio dalla Spagna.

Questo nuovo scenario impone dunque al sistema ortofrutticolo nazionale di cambiare rotta per recuperare terreno. Spingendosi alla ricerca di mercati alternativi a quelli dell'Unione europea.

«Approdare nei paesi extra-Ue è più difficile – riflette Paolo Bruni, presidente del Centro servizi ortofrutticoli – Però i nostri operatori possono raggiungere l'obiettivo stringendo sinergie e alleanze, come hanno già fatto con risultati positivi i consorzi per l'export di kiwi, mele e pere». Soprattutto per questi ultimi due prodotti, che dopo avere superato il blocco delle barriere fitosanitarie, dalla fine del mese potranno essere esportati anche sul mercato americano.

«Il problema è che le nostre imprese scontano ancora le criticità riconducibili a una non adeguata organizzazione e gestione dell'offerta – rimarca Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative («casa madre» di maxi-consorzi come Apo Conerpo e Conserve Italia) –. Le aziende sono tante, piccole e spesso non sufficientemente dimensionate». Una galassia che fa dell'ortofrutta italiana un «gigante dai piedi d'argilla».

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