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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2013 alle ore 11:01.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2013 alle ore 11:05.

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(Afp)(Afp)

BELGRADO - La ricostruzione dell'economia serba passa dalle privatizzazioni. Il governo di Belgrado, nel suo processo di avvicinamento all'Unione europea, ma anche nel tentativo di ottenere nuovi finanziamenti da parte della Banca mondiale e di riallacciare i negoziati con il Fondo monetario internazionale (interrotti bruscamente l'anno scorso), promette di rinnovare un sistema ancora fortemente legato all'agricoltura e controllato in larga parte dallo Stato.

Sono più di 400 le imprese serbe pubbliche da privatizzare. Non tutte sono in perdita, ma moltissime vengono «mantenute dai sussidi» dello Stato, come sottolinea il vicepremier Aleksandar Vucic, leader del Partito progressista e vero regista dell'apertura al mercato del Paese balcanico.

Tra le imprese che - almeno nei piani del governo - dovranno essere vendute, ci sono banche e società delle telecomunicazioni: a cominciare da Telekom Serbia (per la quale dalla scorsa estate si sono fatte avanti le turche Dogus Holding e Sabanci Group). Ma anche piccole aziende che offrono servizi a livello locale e grandi gruppi dell'industria pesante: le miniere di rame Rtb di Bor, le acciaierie Zelezara di Smederevo. Colossi della farmaceutica come Galenika. E produttori di macchinari come Prva Petolekta.

«Metteremo fine al dominio delle grandi imprese pubbliche che si sono mosse per anni come Stati dentro lo Stato», dice Vucic a Belgrado in una pausa di un incontro con le imprese sullo sviluppo economico della Serbia. «Il nostro Paese ha grandi potenzialità, penso all'automotive, all'alimentare a quello dell'energia ma dobbiamo cancellare la corruzione e i sussidi di Stato a imprese in costante perdita», dice ancora Vucic, uomo forte del governo di coalizione appena rinnovato dal premier socialista Ivica Dacic.

La Serbia sta cercando di ricostruire un'economia che anche per il Fondo monetario «sconta dieci anni di ritardo nelle riforme rispetto a molti Paesi dell'Europa centrale e orientale». Con 7,3 milioni di abitanti, ha un Pil di 28,7 miliardi di euro, poco più della metà rispetto a quello della vicina Croazia. Ma nonostante l'attuale recessione ha grandissimi margini di crescita come spiegano gli esperti di Siepa, l'agenzia governativa che promuove gli investimenti. E come conferma Goran Vasic, Chief corporate affairs officer del gruppo di telecomunicazioni norvegese Telenor, il maggiore investitore di tutto il Paese. «C'è molto ancora da fare nella burocrazia e nelle regole per il lavoro - dice Vasic - ma la Serbia è senza dubbio uno dei mercati emergenti su cui puntare per i prossimi anni». «La situazione va migliorando, gli ottimi risultati ottenuti da progetti come il nostro aiutano la Serbia ad attirare altre iniziative», afferma Diego Velini manager di Fiat che ad un anno dall'inizio della produzione a Kragujevac della 500L è ormai il maggior esportatore dalla Serbia.

Belgrado ha annunciato numerose riforme: dalla normativa per rendere il mercato del lavoro più flessibile, alla legge sulle concessioni edilizie, alla revisione delle regole sui fallimenti societari. Punta su un fisco favorevole, sulla qualità del lavoro, sulla posizione geografica. Ma la svolta deve venire dal mercato. L'Agenzia per le privatizzazioni serba ha messo in rete i dati relativi a 153 imprese, per le quali è già stato avviata la ristrutturazione, che dovrebbero essere cedute ai privati, in tutto o in parte, entro la fine del 2014. Secondo le stime del governo sono coinvolti più di 60mila lavoratori e il passaggio anche dal punto di vista sociale non potrà essere indolore. Su internet - all'indirizzo www.priv.rs - l'agenzia ha diffuso le schede delle imprese e ha chiesto agli investitori di manifestare il proprio interesse. Ma al di là delle intenzioni del governo è oggi molto difficile prevedere come e con quali tempi le privatizzazioni potranno essere portate a termine. Anche dalle informazioni diffuse in rete dall'agenzia risulta chiaro che molte imprese controllate dallo Stato dovranno cessare la loro attività mentre per altre sarà più facile trovare un partner invece di arrivare alla vendita completa. È stato così per Jat Airways, la compagnia area nazionale salvata dalla bancarotta e diventata Air Serbia dopo l'ingresso con il 49% di Etihad Airways, la compagnia di Abu Dhabi.

«Dobbiamo insistere sulle privatizzazioni, cambiare anche la mentalità delle persone - dice Vucic - abituate da troppo tempo agli aiuti dello Stato. Abbiamo la disoccupazione al 25% e siamo in difficoltà con il bilancio pubblico. Ma come pensiamo di tagliare il deficit al 2% del Pil se buttiamo nella spazzatura le nostre risorse? È tempo di finirla con le ipocrisie».

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