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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2014 alle ore 13:19.
L'ultima modifica è del 16 gennaio 2014 alle ore 15:41.
La grande bolla dell'elettricità italiana cerca sfogo all'estero. L'ultimo decennio di liberalizzazione e di addio al monopolio hanno prodotto una concorrenza provvidenziale ma sicuramente mal gestita da tutti. Che male si combina, oltretutto, con l'avanzata, anch'essa provvidenziale ma incentivata a suon di denari con molte irrazionalità, delle energie rinnovabili. Risultato: una crisi pesantissima della produzione con le tradizionali centrali termoelettriche, che sono proliferate di gran lena portando la capacità produttiva del paese a oltre 100.000 megawatt totali teorici a fronte di consumi ancora depressi dalla crisi.
Piccola consolazione, arrivata proprio nelle ultime ore dal Gme, il gestore della borsa elettrica: il prezzo medio di acquisto all'ingrosso nel 2013 è calato addirittura del 16,6% passando a 62,99 euro a megawattora, ai minimi da 2006, anche se riemerge il problema strutturale della maggiorazione di prezzo in Sicilia, che dopo qualche segnale di riassorbimento si sta di nuovo divaricando..
Prigionieri nella bolla
Ma intanto il problema strutturale rimane. Siamo in una vistosa bolla di sovracapacità che colpisce innanzitutto il termoelettrico, con molte centrali che camminano al 50% o ancora meno. Una soluzione almeno parziale potrebbe essere quella di consolidare gli scambi che già facciamo con gli altri paesi europei trasformandoci definitivamente in un paese esportatore, grazie al pregio che comunque ci ritroviamo: la flessibilità del nostro parco di centrali a gas a ciclo combinato. Centrali che potrebbero risolvere i problemi di modulazione degli altri paesi del vecchio continente, a partire dalla Francia a cui già conferiamo l'elettricità nei momenti di punta della domanda per sopperire alla rigidità della produzione elettrica nucleare.
Nella teoria potrebbe funzionare, almeno un po'. In uno studio commissionato agli analisti di Poyry da Assoelettrica, Energia Concorrente e Federutility la domanda potenziale dei servizi di flessibilità nei mercati elettrici europei potenzialmente interessati agli acquisti italiani, cioè Francia, Svizzera, Germania, Austria ma anche la Slovenia, viene valutato in ben 16 terawattora l'anno. Un mare di energia, che però rappresenta appena il 5% dei nostri consumi nazionali annui, e che andrebbe a coprire poco più di quello che abbiamo perso nelle vendite complessive sul mercato interno solo nell'ultimo anno in conseguenza della crisi economica.
Poche illusioni, per ora
Certo, la vera apertura dell'export farebbe comunque comodo. Peccato che ad ostacolarla ci siano due fattori importanti: il costo di produzione della nostra energia, che si riflette sui prezzi e quindi sulla convenienza delle vendite all'estero, e gli ostacoli alle nostre nuove infrastrutture che frenano anche il rafforzamento delle linee elettriche di interconnessione oltrefrontiera.
Il primo problema non è così pesante, visto che i servizi di flessibilità sono pagati a prezzi marcatamente superiori a quelli medi di mercato e quindi per noi l'operazione potrebbe essere comunque conveniente. E' semmai secondo problema a rappresentare il vero moloch, come conferma il lentissimo incedere delle opere per le quali imbastiamo accordi internazionali e grandi piani di integrazione degli scambi elettrici con i paesi confinanti, che però si scontrano con le croniche lentezze amministrative italiane condite dalle immancabili opposizioni locali ad ogni nuova infrastruttura.
Tenendo conto di questo gli stessi analisti di Poyry ridimensionano, per ora, le aspettative. Anche se riuscissimo a mettere a punto le modalità di una più attiva partecipazione diretta ai mercati di scambio elettrico europei il potenziale tecnico di export dall'Italia sarebbe limitato per il momento ad un terawattora l'anno.
Gli ultimi segnali
Ci dicono gli analisti che i mercati per noi più interessanti potrebbero essere in particolare quello austriaco e tedesco, che hanno livelli di prezzo più elevati rispetto alla Francia la Svizzera. Ma proprio qui le strutture di interconnessione sono più carenti: le linee tra noi e l'Austria sono limitate a 220 MW di capacità in export e a 160 MW per l'import.
Il panorama a luci (poche) e ombre (molte) è intanto confermato dalla radiografia sul nostro mercato degli elettroni nel 2013 appena diffusa dal Gme, il gestore della borsa elettrica guidato da Massimo Ricci. A fronte della nuova sensibile flessione della produzione elettrica globale rispetto al 2012 già rimarcata da Terna nei giorni scorsi (-3,5%), gli impianti elettrici tradizionali sono sprofondati del 15,3% mentre le rinnovabili continuano a crescere a ritmi sostenuti. Il buono è che la liquidità del mercato elettrico balza al 71,6%, al massimo storico, e il prezzo unico nazionale dell'energia (Pun) inverte la tendenza nei due anni precedenti e flette del 16,6% . I cali riguardano tutte le zone. Unica eccezione la Sicilia che con un prezzo medio di 92 euro al megawattora segna una flessione limitata al 3,4% allargando di nuovo il differenziale con le altre zone.
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