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Questo articolo è stato pubblicato il 23 gennaio 2014 alle ore 12:49.

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Gas algerino con il contagocce. Da venerdì scorso le importazioni dal paese nordafricano dal quale capiamo ben un terzo del nostro fabbisogno metanifero, sono ridotte dell'80%. La causa: problemi tecnici legati all'eccessivo tasso di umidità del metano trasportato nel nostro paese con il gasdotto Transmed, che impediscono l'utilizzo del gas se non lo mescoliamo con quello, fortunatamente ben in salute, che importiamo dalla Libia, dalla Russia e (sempre meno) dalla Norvegia. Problema temporaneo? Nessuna risposta ufficiale. Al ministero dello sviluppo incrociano le dita. Gli operatori fanno gli scongiuri. Per ora non suona il campanello d'allarme per i nostri approvvigionamenti complessivi, ma solo grazie alla concomitanza di alcuni fattori congiunturali: la crisi economica continua a deprimere i consumi industriali, le temperature medie sono clementi limitando i riscaldamenti, gli stoccaggi sono pieni.

In campo i supplenti
È bastato, in questi giorni, accelerare un po' l'import dagli altri versanti e l'equilibrio del sistema metanifero nazionale è stato mantenuto entro i livelli di guardia. "Qualche criticità potrebbe verificarsi solo in caso di imprevisti su altre vie di transito, qualora il problema del gas algerino non fosse risolto in tempi brevi" dicono gli analisti. Il warning è esplicito. Anche perché la causa del problema non è stata resa nota né dal governo algerino né dall'operatore nordafricano Sonatrach. E a noi nel frattempo non rimane che ridurre forzosamente l'import dai circa 40 milioni di metri cubi richiesti dai nostri shipper ad un massimo di 6-8 milioni di metri cubi, rendendo utilizzabile quel poco di gas algerino che riusciamo a importare solo mescolandolo con altro metano (prevalentemente con quello libico) per mantenere la presenza di acqua al di sotto delle tolleranze tecniche.

Quel che è certo è che non si tratta di un episodio isolato e momentaneo. Il problema dell'eccessivo tasso di umidità e gas algerino si era proposto già nei mesi scorsi. E si era combinato con blocchi rallentamenti causati dall'instabilità politica interna e da altri guai tecnici. Ma fino a scorsa settimana i tagli non avevano mai superato il 35% dei volumi richiesti. Ce n'è abbastanza per riproporre il problema della nostra sovraesposizione all'import di metano da poche tratte e da pochi fornitori e alla nostra carenza di infrastrutture, solo momentaneamente mascherata dalla crisi che deprime consumi.

E spunta l'atomo
Nel frattempo lo scenario energetico algerino che offre ulteriori elementi di riflessione, di curiosità, per qualcuno anche di timore. Il campione africano e la produzione di petrolio e gas ha definitivamente deciso di dotarsi di una cospicua quota di energia nucleare, un po' a sostegno dei consumi interni e un po', evidentemente, per liberare ulteriori risorse petrolifere per l'export. O meglio – così sospetta qualche maligno - per continuare a monetizzare le sue quantità di idrocarburi destinate progressivamente ridursi.
Sta di fatto che l'Algeria intende costruire la prima centrale nucleare del Nord Africa tra il 2025 e il 2030. Lo ha annunciato proprio la scorsa settimana il ministro algerino delle risorse minerarie Yusef Yusfi, sottolineando - come riferiscono le agenzie di stampa - che l'impianto servirà a rispondere al fabbisogno energetico crescente del paese, ricco anche di giacimenti di uranio, stimati in 29mila tonnellate. Uranio che potrebbe essere anche commercializzato all'estero, ma magari in accordo con la Francia, il paese campione del nucleare che collaborerà direttamente con l'Algeria nella costruzione delle sue nuove centrali con la nuova ma controversa tecnologia Epr, che doveva già vedere due impianti funzionanti, uno in Francia la Finlandia, tuttora martoriati da problemi tecnici che non ne consentono il completamento.

E a noi, tra timori e forniture a singhiozzo, basta guardare la carta geografica per fare una semplice riflessione: nonostante l'energia nucleare sia data momentaneamente per spacciata, o almeno in stand-by dopo l'ultimo disastro di Fukushima, lo Stivale è sempre circondato da impianti atomici. Presto anche da sud.

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