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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2014 alle ore 17:24.

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Una volta era il Mezzogiorno la «terra promessa» per il caporalato e l'illegalità nel settore agroalimentare. Intermediazione, ma anche abigeato e furti di ogni genere in campagna. Un fenomeno, pur sempre grave, ma caratterizzato da numeri di scarsa importanza. Ma negli anni c'è stato il salto di qualità, di pari passo con la crescita di un'agricoltura più evoluta e in sintonia con il mercato. E così l'Agromafia Spa ha esteso i suoi tentacoli su tutto il territorio nazionale, anche nelle aree dove il settore agroalimentare è più sviluppato (a cominciare dalla ricca Padania), rafforzando il fatturato della sua attività che ha superato, secondo gli ultimi dati diffusi dalla Direzione nazionale Antimafia, i 12 miliardi. È un quadro desolante quello illustrato oggi dalla Flai-Cgil che ha presentato il secondo rapporto Agromafia e caporalato redatto dall'Osservatorio Placido Rizzotto.

I tentacoli dei clan si allungano su tutto il territorio
E se la filiera è diventata la parola d'ordine dell'agricoltura italiana, sulla filiera si sono concentrati gli interessi dei clan, dal Nord al Sud del paese. E allora spazio alla contraffazione, ai mercati, alla logistica, ma anche all'usura finalizzata all'accaparramento dei terreni «preziosi» anche per accedere i contributi comunitari. Ed è su questo fronte che si segnalano continuamente truffe ben architettate. L'Agromafia oggi fa affari d'oro con la contraffazione dei prodotti agroalimentari. I sequestri di vini, ma anche altri prodotti, con griffe false sono cronaca di tutti i giorni, l'ultimo caso ha interessato il blasonato Montalcino. Il fenomeno è infatti cresciuto in Italia del 128% (del 150% nelle economie più sviluppate) con un danno per il made in Italy di 60 miliardi tra falsi e italian sounding.

Nel mirino produzione, trasformazione , mercati e logistica
Da anni – rileva la ricerca Flai – si assiste infatti a un peso crescente della malavita nelle filiere agroalimentari, dalla produzione agricola alla trasformazione e commercializzazione con una «particolare» attenzione per i mercati ortofrutticoli e la logistica. E i sempre più numerosi sequestri di beni agricoli alle organizzazioni criminali confermano l'emergenza. Secondo i dati del ministero di Grazia e Giustizia i terreni agricoli confiscati ai clan sarebbero quasi 25mila. Per quanto riguarda le aziende risultano solo quelle sottoposte a misure di prevenzione e sono più di 7.600. Una certezza invece sono i fallimenti delle aziende sottratte ai boss: il 93 per cento. Un dato che, rileva Flai «evidenzia una mancanza di strategia di promozione della legalità».

Guardia sempre alta sul lavoro
L'attività più lucrosa sembra comunque essere sempre quella legata al lavoro. In cima alla lista delle denunce della Flai continua infatti a esserci lo sfruttamento dei lavoratori. Un fenomeno che copre ormai 18 regioni e oltre 99 province. «Lo sfruttamento agricolo e il caporalato – ha spiegato il segretario generale della Flai Cgil ,Stefania Crogi – sono fenomeni localizzati, seppure con forme e intensità diverse, in tutto il territorio nazionale». Lo studio ha «censito» 400mila lavoratori che trovano lavoro tramite i caporali e oltre 100mila sono in condizione di quasi schiavitù. Oltre il 60% di lavoratori e lavoratrici, per lo più stranieri, che vengono reclutatati dagli «intermediari» non hanno accesso a servizi igienici e acqua corrente, nel 70% dei casi sono soggetti a malattie. Percepiscono il 50% di salario in meno rispetto a quello previsto dai contratti nazionali e dunque non più di 30 euro per una giornata lavorativa spesso di 12 ore da cui vanno detratte le «tasse» dovute ai caporali (5 euro per i trasporti e altrettanti per un panino e una bottiglia di acqua).

In nero nei campi oltre il 40% degli occupati
Nel settore agricolo è sommerso il 43% degli occupati, mentre il valore aggiunto dell'economia in nero è pari al 36 per cento. Una situazione da allarme rosso che, tra l'altro, costa al paese oltre 600 milioni l'anno per il mancato introito dei contributi previdenziali. Secondo Flai non ci sono allo stato attuale strumenti normativi forti in grado di contrastare il fenomeno. «Nell'indagine – spiega il sindacato – emerge sempre più in forma dirompente la debolezza di alcuni strumenti legislativi: da un lato la fragilità dell'attuale norma contro il caporalato che punisce solo il caporale (nel 2013 ne sono stati arrestati 281) e non gli imprenditori che si avvalgono della loro intermediazione, dall'altro la scarsa applicazione delle previsioni normative previste dal recepimento della direttiva europea n. 52 che avrebbe dovuto assicurare un regime di protezione speciale per i lavorati e le lavoratrici sfruttati».

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