Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2010 alle ore 10:12.
Nella sua versione finale quella su regioni ed enti locali diventa una super-manovra, che chiede risparmi in due anni per 13 miliardi e impone una drastica razionalizzazione degli enti territoriali, in cui spunta anche l'abolizione (alla fine dei mandati in corso) di 10 province non di confine che contano meno di 220mila abitanti. Una soluzione meno drastica di quella invocata dai parlamentari finiani, l'abolizione totale: «Se toccano la provincia di Bergamo dobbiamo fare la guerra civile...», ha avvertito Umberto Bossi in Transatlantico mercoledì sera, spiegando che «la soluzione trovata nella manovra «è la mediazione giusta».
Il governo locale, in ogni caso, è chiamato a portare in dote metà del valore della manovra correttiva, e il grosso (come anticipato sul Sole 24 Ore di ieri) tocca alle regioni: a quelle a statuto ordinario il decreto chiede 7 miliardi (2,5 nel 2010), mentre alle regioni autonome spetta un compito da 1,5 miliardi. In crescita anche le richieste ai sindaci, che dovranno garantire 1,2 miliardi l'anno prossimo e 2,2 nel 2012, e per i presidenti di provincia (200 milioni nel 2011 e 440 nel 2012).
Numeri «irricevibili» per Vasco Errani (Pd), presidente dei governatori (al quale mercoledì sera è stata offerta la conferma dai colleghi del Pdl - all'unanimità - e da Berlusconi, ndr), ma anche nel centrodestra la reazione non è morbida: «Se si chiedono sacrifici così a tutti i comparti la manovra può arrivare a 140 miliardi», ironizza Romano Colozzi, assessore al Bilancio in Lombardia, mentre Giuseppe Scopelliti, presidente della Calabria, chiede ai colleghi di mettersi a un tavolo per «studiare una controproposta».
A spiegare le ragioni della cura da cavallo è stato in mattinata lo stesso Giulio Tremonti, chiamando tutti alla «responsabilità» perché «il patto Ue sarà più rigido», i paesi in deficit eccessivo si vedranno tagliare i fondi Ue e a subirne le conseguenze sarebbero soprattutto le regioni più in difficoltà. Meno tranchant la reazione di sindaci e presidenti, che sono usciti da palazzo Chigi ribadendo la loro «disponibilità ai sacrifici», chiedendo però tre condizioni: una boccata d'ossigeno sul 2010, una rimodulazione del patto per il prossimo biennio e tempi certi sul federalismo fiscale, che dovrebbe ora affrontare il nodo della fiscalità locale e dei tributi propri di sindaci e presidenti.