La scelta dell'università

Norme e Tributi In primo piano

Negli atenei si gioca il passaporto per il lavoro

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Questo articolo è stato pubblicato il 07 giugno 2010 alle ore 08:17.

Oltre 400mila famiglie stanno decidendo come aiutare i propri figli a scegliere l'università (un'esperienza di studio che manca a tre quarti dei genitori). E altrettanti studenti stanno cercando di orientarsi. Possono bastare la vicina di pianerottolo o gli amici a dare consigli? Per fare scelte consapevoli occorre conoscere. E per conoscere diventa essenziale partire da risultati completi, affidabili, periodicamente rilevati per consentire i confronti nel tempo e nello spazio.

I numeri non dicono tutto, ma rappresentano la base indispensabile di partenza: la documentazione pubblicata ogni anno da AlmaLaurea, consorzio di 60 atenei, racconta come hanno studiato all'università coloro che hanno preceduto i diplomandi di oggi e che sbocchi occupazionali hanno avuto a uno, tre e cinque anni dalla laurea.

Come usare queste indagini nella scelta? Intanto per smontare pregiudizi e luoghi comuni. La riforma del «3+2» è stata un flop? L'esperienza di quasi 200mila laureati del 2009 restituisce valutazioni diverse. L'università, al di là delle tante cose di cui si deve rapidamente emendare, in dieci anni ha:
aumentato il numero di laureati;
ridotto considerevolmente l'età alla laurea;
quadruplicato i laureati in corso;
aumentato la frequenza alle lezioni;
migliorato il rapporto con il mondo del lavoro triplicando le esperienze di stage durante gli studi;
dilatato le esperienze di studi all'estero, almeno per i laureati specialistici, avvicinandosi al traguardo fissato a livello europeo per il 2020.

All'interno di questo quadro di sintesi si rilevano performance virtuose e altre più critiche. È un quadro che le famiglie e gli studenti devono conoscere perché in un mondo radicalmente cambiato, che ha come obiettivo strategico l'Europa della conoscenza, è sempre più necessaria la laurea, almeno triennale, come livello minimo di formazione, ma anche di "cittadinanza". Tanto più per i giovani italiani, ancora in ritardo rispetto ai loro coetanei dei paesi più avanzati.

Si potrebbe obiettare: «Sì, ma il lavoro?» Nessuno è in grado di prefigurare le condizioni del mercato nel prossimo futuro. Quindi rimane importante scegliere il percorso di studio in base alle proprie propensioni, investendoci con passione tutta la propria capacità, senza tentennamenti, per "imparare ad apprendere": funzione essenziale vista la sempre più rapida obsolescenza delle conoscenze.

Le statistiche occupazionali servono per leggere le tendenze attuali: certo la crisi ha fatto lievitare disoccupazione e scoraggiamento tanto più consistenti nel Mezzogiorno e fra le donne, e ha colpito soprattutto i più giovani. Diminuisce il lavoro stabile mentre le retribuzioni, già modeste (di poco superiori a 1.100 euro ad un anno dalla laurea), si riducono in termini di potere d'acquisto.

La documentazione disponibile dice che ci sono differenze tra lauree (hanno risentito della crisi soprattutto le lauree generaliste, che richiedono tempi più lunghi per realizzare a pieno le competenze acquisite in ambito umanistico, politico e sociale), ma la crisi non ha fatto sconti a nessuno: hanno sofferto un po' anche percorsi come ingegneria ed economia. In questo periodo, invece, ha trovato ottimi sbocchi chi è uscito dai percorsi triennali delle professioni sanitarie. Ma non dimentichiamo: le statistiche dell'occupazione ci danno il quadro di una realtà ormai superata, certamente diversa da quella che ci si troverà di fronte fra 4-6 anni. Con alcune certezze: la condizione occupazionale e retributiva dei laureati risulta migliore di quella dei diplomati di scuola secondaria, e le esperienze di studio all'estero e gli stage in azienda nel corso degli studi costituiscono un importante valore aggiunto.

I dati rivelano il forte desiderio dei giovani di professionalità, ancor prima che di carriera e guadagno. Insomma, i numeri restituiscono anche il volto, consistente, di giovani che non si ritrovano nella definizione di bamboccioni, più ancorati al principio di realtà, più "internazionali". Se l'università ha raggiunto dei miglioramenti, grazie all'opera preziosa di tanti docenti e ricercatori, una preoccupazione, invece, dovrebbe essere tenuta ben più presente: che questi giovani, anche i più preparati, rischiano di restare intrappolati fra un sistema produttivo che non assume e un mondo della ricerca carente di mezzi. Perché è certo che la dedizione di docenti e ricercatori non sarà sufficiente a garantire la ripresa e un futuro di sviluppo se il paese continuerà a non considerare come prioritari e strategici gli investimenti in formazione superiore e ricerca.

Direttore di AlmaLaurea
Professore di Statistica (Università di Bologna)

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