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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2010 alle ore 09:23.

Blocco per gli insegnanti
Il sogno di diventare insegnante per ora resta chiuso nel cassetto.
Le scuole di specializzazione per l'insegnamento sono state abolite dalla legge finanziaria 2008, ma le nuove norme sulla formazione degli insegnanti non sono ancora state emanate.

La bozza del regolamento firmato dal ministro Gelmini dovrebbe introdurre nei prossimi mesi due sostanziali novità: da una parte il tirocinio obbligatorio per i futuri insegnanti e dall'altra il numero chiuso dei corsi di laurea, che punta a risolvere il problema delle lunghe liste di precari. Secondo la bozza – che potrebbe essere approvata in autunno – chi si prepara a entrare nella scuola dell'infanzia e nella primaria dovrà svolgere il tirocinio a partire dal secondo anno del corso di laurea.

Per la secondaria di primo e secondo grado, invece, ci sarà un anno di tirocinio obbligatorio che si aggiungerà ai tre della laurea generalista e ai due di quella specialistica. L'anno di tirocinio sarà costituito da 475 ore di presenza a scuola, sotto la guida di un tutor, ossia di un docente esperto. Il nuovo sistema punta a creare strutture più snelle, abbreviando di un anno il percorso di abilitazione. Anche i dottori di ricerca in possesso dei requisiti avranno la possibilità di entrare, in soprannumero, nell'anno di tirocinio.

Finisce quindi l'era delle scuole di specializzazione per l'insegnamento durata nove cicli.
Le Siss furono istituite dalla legge 341/90, ma i criteri sulla loro organizzazione (una per ogni regione) vennero esplicitati solo otto anni dopo attraverso un decreto ministeriale del 1998, che affidava alle università la formazione degli insegnanti.
I corsi biennali con diverse classi di abilitazione venivano dunque organizzati dagli atenei, riuniti in consorzi. L'iter prevedeva una prova di ammissione, 1.200 ore di corso, di cui 400 di tirocinio nelle scuole, una media di 35 esami, circa 2.600 euro di tasse universitarie e l'esame di Stato per l'abilitazione.

Giornalisti «virtuali»
È finita l'era dei taccuini e delle macchine per scrivere, eppure il fascino della professione di giornalista resta intatto, nonostante le difficoltà di accesso in un settore che sta subendo radicali cambiamenti (si pensi, per esempio, a internet). Chi desidera scrivere articoli senza però fare di questo lavoro un vero e proprio mestiere può optare per l'iscrizione nell'elenco dei pubblicisti: in questo caso non bisogna affrontare un esame di Stato e non bisogna essere in possesso di un titolo di laurea.

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Basterà documentare di aver svolto un'attività giornalistica adeguatamente retribuita e continuativa nell'ultimo biennio. La legge 69/63 non stabilisce il numero di articoli da presentare, che varia da regione a regione. Per diventare un giornalista professionista, invece, è necessario superare un esame di stato a cui si accede solo dopo 18 mesi di praticantato. La pratica, un tempo svolta soprattutto nelle redazioni con contratti ad hoc, oggi si effettua quasi esclusivamente nelle scuole di giornalismo e nei master biennali post laurea riconosciuti dall'Ordine nazionale e attivate in sedici atenei d'Italia.
Le scuole prevedono lezioni teoriche, esercitazioni pratiche e un tirocinio obbligatorio nelle redazioni di giornali, agenzie di stampa, televisioni, radio e siti internet.