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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2010 alle ore 08:10.
La parità previdenziale fra uomo e donna imposta dall'Europa agli uffici pubblici del nostro paese allungherà la permanenza al lavoro delle dipendenti soprattutto ai piani più alti della gerarchia, occupati da chi ha iniziato a lavorare dopo la laurea. L'influenza sugli altri profili sarà più attenuata e diminuirà progressivamente fino a scomparire nel caso di chi ha iniziato la propria carriera prima di compiere i 20 anni.
Lo «scalone» che dal 2012 porta a 65 anni anche per le donne l'età necessaria per imboccare l'uscita di vecchiaia non cancella infatti le altre regole per il pensionamento di anzianità, che consentono di andare in riposo a chi centra la «quota» minima, costituita dalla somma di età anagrafica e anni di contribuzione: dal prossimo anno occorrerà quota 96 (con almeno 60 anni di età); dal 2013 si dovrà arrivare a quota 97 (con almeno 61 anni di età). Potrà continuare ad andare in pensione a prescindere dall'età chi raggiunge 40 anni di contributi.
Il discrimine, come mostra la tabella in pagina curata dall'Ordine degli attuari che indica la prima data utile per l'uscita (sul Sole 24 Ore del 12 giugno sono state invece mostrate le date per ottenere anzianità o vecchiaia), è fissato a 29 anni: le dipendenti pubbliche che hanno iniziato a lavorare con un'età più avanzata non hanno alcuna chance di ritirarsi dall'ufficio prima dei 65 anni, mentre le altre potranno continuare a sfruttare i canali alternativi (e anticipati). Inoltre, vanno fatti i conti con la «finestra mobile» per la decorrenza dell'assegno: la nuova regola si applica sia al lavoro privato sia a quello pubblico (maschile e femminile) e permette di guadagnare l'uscita 13 mesi dopo la maturazione dei requisiti.
Posti questi principi, il calcolo diventa semplice: chi ha cominciato a versare contributi a 20 anni ottiene il diritto alla pensione a 60 anni e 13 mesi dopo, quando l'anagrafe indica 61 anni, si vede aprire la finestra d'uscita. La dipendente pubblica che invece ha iniziato l'attività a 25 anni deve attendere un anno in più, non riesce ad accumulare i 40 anni di anzianità (in questo caso l'uscita coinciderebbe con la «vecchiaia» parificata con quella dei colleghi uomini) ma può sfruttare il meccanismo delle quote: a 61 anni (età minima per ottenere l'assegno di anzianità), l'interessata avrà raggiunto 36 anni di contributi, che sommati all'età portano alla fatidica «quota 97». Anche in questo caso, tra la maturazione del requisito e il pensionamento effettivo dovrà passare almeno un anno. La prima età utile per salutare i colleghi sale progressivamente, un anno alla volta, per le dipendenti pubbliche che hanno iniziato a lavorare fra 25 e 29 anni, mentre per chi ha esordito da 30 anni in su l'unica uscita possibile è quella di vecchiaia dopo i 65 anni.