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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2010 alle ore 08:05.
«Con questo decreto le tasse diminuiranno», giura il ministro della Semplificazione Roberto Calderoli. «Al contrario – ribatte Francesco Boccia, coordinatore delle commissioni economiche del Pd alla camera – le tasse in più sono sicure». Chi ha ragione? Dipende.
Il dato certo è che la «pressione tributaria complessiva» del paese non potrà superare i tetti fissati dalla «decisione di finanza pubblica» (il vecchio Dpef), e che su questo limite vigilerà una «commissione di coordinamento» composta da governo e amministrazioni territoriali. Ciò che succederà nelle singole regioni, invece, dipende appunto dalla salute dei conti locali.
I sistemi federalisti promettono tasse più leggere dove i conti pubblici tengono e più pesanti nei territori che hanno vissuto parecchi problemi di amministrazione, come hanno imparato bene i cittadini romani dopo la triplice ondata di super-aliquote introdotte per coprire i buchi della sanità e del Campidoglio. Il decreto sul federalismo regionale e provinciale approvato giovedì in prima lettura promette di intensificare queste dinamiche, preparando però anche premi molto più appetitosi nei casi in cui i bilanci pubblici non siano un problema.
Cittadini
Per i cittadini, in realtà, le "minacce" sembrano più dirette rispetto alle "promesse". Dopo il 2013, le regioni potranno infrangere il limite attuale dell'addizionale Irpef, che oggi si attesta all'1,4% (1,7% in Lazio, Molise, Campania e Calabria, dove c'è da recuperare l'extradeficit della sanità): nel 2014 potranno arrivare al 2%, e dal 2015 si potrà toccare il 3%.
Tradotto in cifre, l'aumento potenziale massimo triplica il conto rispetto ai territori che oggi pagano lo 0,9%. Un reddito da 60mila euro, per esempio, oggi paga tra i 540 e gli 840 euro all'anno, arriva a 1.020 euro nelle regioni colpite dall'extradeficit ma potrà vedersene chiedere 1.800 dal 2015. Per una dichiarazione da 45mila euro, si potrà passare da 405 a 1.350 euro all'anno.
Prima di assumere misure così impopolari, naturalmente, i governatori faranno di tutto, e potranno parametrare le richieste ai redditi, seguendo però l'articolazione delle fasce stabilita a livello nazionale. Il decreto, poi, introduce una clausola di salvaguardia che esclude dalla stretta del fisco locale i redditi dei primi due scaglioni, purché siano il frutto di lavoro dipendente o di pensione nata in relazione a questa forma di occupazione. Niente freno agli aumenti, invece per i professionisti e gli autonomi in generale, che almeno in teoria potrebbero vedersi inasprite le richieste delle regioni anche se i loro redditi si fermano nelle prime due fasce (si veda anche l'articolo in basso).