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Norme e Tributi Fisco

Un milione di contribuenti a rischio sul condono Iva

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 ottobre 2010 alle ore 08:00.

MILANO - A finire sotto le maglie dei controlli fiscali "supplementari" potrebbero essere un milione di contribuenti Iva che hanno beneficiato del condono varato con la Finanziaria 2003 (legge 289/02). In ballo ci sono tre miliardi di euro versati per saldare il conto con l'Erario a fronte di un'imposta evasa almeno dieci volte maggiore.

Si tratta di stime assolutamente prudenziali. D'altronde, la relazione presentata nel 2008 dalla Corte dei conti certificava incassi derivanti dall'insieme delle sanatorie per oltre 20 miliardi, 13 dal condono tombale (e 5 mancano tuttora all'appello come illustrato poche settimane fa).

L'impatto delle verifiche fiscali che Guardia di Finanza e agenzia delle Entrate stanno portando avanti lungo il doppio binario normativo segnato dalla "bocciatura" della sanatoria Iva e dall'allungamento dei termini per gli accertamenti sancito, in presenza di reati tributari, dal decreto Bersani del 2006 potrebbe, quindi, essere ben più ampio. Dipenderà dalla tenacia con cui l'amministrazione finanziaria terrà fermo il rigore mostrato negli ultimi mesi e dalla rapidità con cui, di contro, la Corte costituzionale, sollecitata dalla commissione tributaria di Napoli, interverrà per fornire la versione "autentica" circa le modalità di "disapplicazione" del condono. Supplendo al silenzio del Governo.

Giuridicamente la questione sollevata sul Sole 24 Ore di ieri dà adito dà adito a molteplici difficoltà interpretative. Tra il luglio 2008 e il settembre 2009, prima la Corte di giustizia Ue e poi la Cassazione (sentenze 20068 e 20069) hanno bocciato il condono tombale e l'integrativa semplice approvati nel 2002, in quanto contrastanti con la normativa comunitaria in materia di Iva e di concorrenza. Lo Stato italiano non poteva disporre dell'imposta sul valore aggiunto.

Nel frattempo il decreto legge Bersani nel 2006 aveva stabilito che di fronte al sospetto di un reato tributario (tra quelli disciplinati dal decreto legislativo 74 del 2000) e alla conseguente denuncia alla Procura, i termini per l'accertamento fiscale raddoppiano. Quindi, per esempio, per le irregolarità oggetto di condono commesse nel 2001 è possibile dar luogo a verifiche fino al 31 dicembre 2010 (anziché fino al 31 dicembre 2006). Per quelle relative al 2002 c'è tempo invece fino al 31 dicembre 2011 (anziché fino al 31 dicembre 2007).

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Avvalendosi di queste misure, Guardia di Finanza e agenzia delle Entrate hanno avviato verifiche fiscali storiche, addentrandosi anche in anni d'imposta oggetto del "perdono" (il 2001 e il 2002, in particolare). Secondo un'impostazione per cui la disapplicazione del condono tombale fa riemergere le condotte penalmente rilevanti. In sostanza, quando si ha motivo di ritenere che si siano sottratti impunemente al Fisco oltre 100mila euro, l'adesione al condono rischia di tradursi in un'"autodenuncia". A distanza di anni perciò molti contribuenti si sono visti costretti a dover spiegare situazioni contabili per le quali non avevano neanche più i documenti necessari. E soprattutto dopo aver patteggiato con l'Erario.

Entrate e GdF, inoltre, contestano fatti penali facendo scattare il raddoppio dei termini anche quando l'ordinario termine di prescrizione (un anno più quattro) è scaduto. Sarà la Consulta nei prossimi mesi a chiarire, al contrario, se il raddoppio dei termini può avvenire solo se gli ordinari termini di decadenza siano ancora "aperti". Un'eccezione proposta in un documento comune diffuso a luglio da Abi, Ania, Assonime e Confindustria che rimarcavano la necessità di dare comunque il giusto peso a già acclarate situazioni penali favorevoli ai contribuenti.

«In ogni caso – osserva Patrizio Tumietto, presidente dell'Uncat (Unione nazionale camere avvocati tributaristi) – si tratta dell'ennesimo caso nel quale la lettera della legge, se applicata in modo pedestre, produce conseguenze nefaste. Formalmente l'operato dell'amministrazione è corretto, ma in sostanza viola il principio dell'affidamento. Cambiare le regole durante il gioco mina il rapporto di fiducia e non già l'amministrazione tributaria, bensì il legislatore dovrebbe porvi rimedio. Nel diritto comune anglosassone una virata del genere sarebbe impensabile. Dire, anche se sulla base di cambiamenti legislativi intercorsi, che si era scherzato è aberrante».

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