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Questo articolo è stato pubblicato il 14 marzo 2011 alle ore 17:04.
L'esposizione del crocifisso nelle aule di tribunale non lede il principio della libertà di religione. Le sezioni unite della Cassazione (si legga la sentenza su Guida al diritto) confermano la rimozione dalla magistratura, disposta dal Csm, del giudice di Camerino che si era rifiutato di tenere le udienze in un'aula in cui era esposto il simbolo della cristianità. Un rifiuto a svolgere il proprio lavoro che era continuato anche dopo che il presidente del tribunale aveva messo a disposizione del giudice un'aula senza la croce.
Il giudice contestatore aveva chiesto di far sparire i crocifissi da tutte le aule
Il giudice contestatore aveva però bollato la soluzione come "ghettizzante" e aveva alzato il tiro chiedendo di far sparire, in nome della laicità dello stato, i crocifissi da tutte le aule di tribunale della nazione. Pretesa che - spiega il Collegio – andava oltre l'interesse soggettivo di chi la avanzava e sconfinava nel campo dei diritti altrui e degli interessi diffusi che non possono essere rivendicati da un singolo cittadino. Un altro no il magistrato lo aveva incassato sulla richiesta di esporre accanto al crocifisso la menorah ebraica. Correttamente i giudici di merito avevano rilevato che negli uffici pubblici italiani è possibile esporre soltanto il crocefisso. Per l'esposizione di qualunque altro simbolo serve, infatti, un intervento del legislatore che, al momento non c'è stato.
La presenza del simbolo cristiano non intacca la laicità dello stato
I giudici di piazza Cavour non mancano comunque di sottolineare come la presenza del simbolo cristiano, nelle scuole come nei tribunali, non intacchi il principio della laicità dello stato che non può assolutamente essere messo in dubbio. Gli ermellini ricordano in proposito che la Corte costituzionale ha «riconosciuto nella laicità un principio supremo del nostro ordinamento costituzionale». Con la sentenza di oggi i giudici di piazza Cavour confermano dunque il "licenziamento" del giudice perché ha "saltato" senza ragione quindici udienze. Il lavoratore può – conclude la Corte – rifiutarsi di prestare la sua attività se vengono violati i suoi diritti fondamentali. Ma non era questo il caso.
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