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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2011 alle ore 06:41.

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Il veloce declino delle pensioniIl veloce declino delle pensioni

di Andrea Carli
Un sistema previdenziale che le ultime riforme hanno reso più solido dal punto di vista della sostenibilità finanziaria ma che nasconde altre insidie, soprattutto per i giovani. Nel 2060, secondo le previsioni della Ragioneria generale dello Stato, un lavoratore parasubordinato con 63 anni d'età e 35 di contributi, che ha versato alla sola previdenza obbligatoria, riceverà una pensione pari al 48% dell'ultima retribuzione, contro il 61% di un lavoratore dipendente. Se invece il co.co.pro avrà puntato anche sul secondo pilastro, il tasso di sostituzione sarà del 71 per cento. La situazione degli autonomi sarà peggiore di quella dei parasubordinati: la percentuale con la sola previdenza pubblica sarà poco più del 47 per cento (si veda la tabella a lato). Anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha lanciato l'allarme: in un messaggio inviato in occasione della prima edizione della «Giornata nazionale della previdenza», che si è aperta ieri a Milano nella sede di Borsa Italiana – 1.700 visitatori, oggi si chiude - ha fatto presente che quello della previdenza «è un tema che oggi investe, con drammatica urgenza, le aspettative delle nuove generazioni in presenza di un mondo del lavoro in continua, rapida evoluzione, che non riesce ancora a superare i vincoli di una crescita insufficiente e di un insoddisfacente tasso di attività e di occupazione».

Il problema è che la previdenza complementare stenta a decollare. Stando ai dati forniti dal vicedirettore generale di Bankitalia Giuseppe Carosio in un'audizione in Commissione Finanze alla Camera, solo un lavoratore su cinque è iscritto a un fondo pensione. «Alla fine del 2010 – ha affermato Carosio – il tasso di adesione tra i lavoratori era pari a circa il 22 per cento. Solo una minoranza dei lavoratori italiani è iscritta a un fondo pensione e le attività in gestione restano limitate».
La sfida è chiara. «Oggi - ha affermato Alberto Brambilla, coordinatore Cts Itinerari previdenziali, durante la conferenza di apertura della manifestazione a Piazza Affari - lo Stato integra 9,2 milioni di pensioni, il 40% di quelle in pagamento, ma per chi ha iniziato a lavorare dal 1996 l'integrazione al minimo non ci sarà più». La diffusione della previdenza complementare nei vari Paesi – ha continuato Brambilla – «si misura con il rapporto tra patrimonio dei fondi pensione e il Pil: ebbene l'Italia è agli ultimi posti tra i paesi Ocse, battuta anche dalla Repubblica Ceca. Anche tra i Paesi non Ocse – ha aggiunto Brambilla – siamo appena sopra la Bulgaria ma sotto la Nigeria e il Costa Rica».

Il problema riguarda anche il rapporto tra previdenza pubblica e fondi pensione. «Nessuno può immaginare che il secondo pilastro andrà a eliminare il primo», ha avvertito il presidente dell'Inps, Antonio Mastrapasqua. Quanto poi alle regole del gioco, non ci saranno novità: «Come negli ultimi tempi hanno detto i ministri Sacconi e Tremonti – ha continuato Mastrapasqua - mi sembra che il cantiere sia chiuso. Non credo che a breve ci saranno ulteriori interventi». In questo modo il presidente dell'ente di previdenza ha escluso che ci possano essere novità nel decreto sviluppo, che oggi potrebbe approdare in consiglio dei ministri, o nella manovra sui conti pubblici, attesa all'inizio del mese prossimo.

Sulla stessa linea Paolo Crescimbeni, presidente dell'Inpdap: «Il sistema pensionistico - ha spiegato - è ormai in sicurezza, per effetto degli interventi legislativi finora apportati. Il nuovo scenario descrive un panorama che vede, da un lato, l'equilibrio sostanziale dei conti e, dall'altro, il rilancio della previdenza complementare per recuperare il differenziale tra le pensioni future e l'attuale livello di copertura».
Secondo Lamberto Dini, il padre della riforma (legge 335/95) che ha introdotto il sistema contributivo per il calcolo della pensione (entrerà pienamente in vigore intorno al 2030), bisogna rilanciare il secondo pilastro. «Finora – ha spiegato Dini – la partecipazione delle generazioni più giovani ai fondi di previdenza complementare è mancata».

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