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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2011 alle ore 07:45.

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Paolo Meneghetti
Un evento piuttosto frequente nella realtà delle società di persone, è il venir meno della pluralità dei soci. La società socio unico è situazione perfettamente tollerabile nell'ambito delle società di capitali, ma non in quello delle società di persone, settore in cui il Codice civile assegna un certo lasso temporale, cioè sei mesi, per ricostituire la pluralità dei soci e, se ciò non avviene si manifesta una causa di scioglimento, così come previsto nell'articolo 2272, punto 4, del Codice civile. La conseguenza pratica del venir meno della pluralità dei soci è l'estinzione della società cui spesso, consegue la prosecuzione della attività in capo al socio cosiddetto superstite. Tale situazione presenta dei risvolti tributari significativi che attengono sia il profilo impositivo ai fini delle imposte dirette e indirette, sia il profilo degli adempimenti dichiarativi che conseguono all'estinzione della società. Sul punto vari dubbi sono sorti tra gli operatori, dubbi che l'agenzia delle Entrate ha affrontato con due interventi, peraltro non esaustivi e per certi versi non del tutto coerenti tra loro, la circolare 54/E2002 e la risoluzione 47/E/2006.
Il profilo impositivo
Il trasferimento dell'azienda dalla società all'impresa individuale del socio superstite è una assegnazione al socio o una trasformazione? Se si leggono attentamente i due interventi sopra citati se ne ricavano conclusioni discordi, in parte giustificate dal fatto che la circolare 54/02 si interessa del settore delle imposte sul reddito, mentre la risoluzione 47/2006 focalizza l'attenzione su quello delle imposte indirette. Dal punto di vista delle imposta dirette, se l'operazione fosse configurabile quale assegnazione del l'azienda a un socio (quale in effetti essa è sotto il profilo civilistico) si avrebbe l'emersione di plusvalenze in capo alla società, per destinazione di beni al socio ex articolo 86, lettera c) del Tuir. Questa conclusione, molto penalizzante, sarebbe superata se l'operazione in questione fosse definibile quale "trasformazione", benché impropria , di una società in una impresa individuale. Tuttavia è noto che le società possono trasformarsi solo tra loro (cioè mutando tipologia), mentre non possono divenire imprese individuali se non transitando prima per l'estinzione. Questa è la tesi sostenuta dalla risoluzione 47/06 che testualmente afferma: «Pertanto, la scrivente ritiene che la cosiddetta continuazione dell'impresa in forma individuale sia sempre preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della medesima.». Da ciò consegue che, ai fini delle imposte indirette, il trasferimento del l'azienda dalla società all'impresa individuale realizza una assegnazione d'azienda sottoponibile a imposta di registro in misura fissa. Ma la stessa operazione viene definita diversamente ai fini delle imposta sul reddito, infatti la circolare 54/02 esclude l'emersione di qualunque plusvalenza a condizione che il socio superstite continui l'attività sottoforma di impresa individuale mantenendo inalterati i valori dei beni. Dunque prevale per le imposte sul reddito la tesi "trasformazione" che è l'unica che assicura la continuità dei valori. Semmai la questione che dovrebbe essere ulteriormente chiarita e se tale neutralità fiscale avvenga solo se sia rispettata la tempistica dell'articolo 2272 del Codice civile, cioè allo spirare dei sei mesi, come chi scrive ritiene più convincente, oppure se ciò possa avvenire anche prima tramite una autonoma decisione del socio superstite, considerando però che questa ultima fattispecie non presenta le caratteristiche della «conseguenza necessaria» del venir meno della pluralità dei soci.

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