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Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2011 alle ore 14:33.

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I conti degli italiani diventano sempre più trasparenti per il fisco. Dopo la manovra di Ferragosto, infatti, l'amministrazione ha meno vincoli nel chiedere agli intermediari finanziari i dati dei contribuenti. Questo mentre il direttore dell'agenzia delle Entrate, Attilio Befera, ha annunciato che i rapporti finanziari (e quindi anche il risparmio) rappresenteranno dal prossimo anno una delle gambe del tavolo dell'accertamento fiscale basato sul redditometro. Insomma, come ha detto il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, in un'intervista pubblicata ieri dal quotidiano «Avvenire»: «Il segreto bancario è finito».

Che la cittadella bancaria fosse da tempo assediata è certamente noto (si veda, da ultimo, Il Sole 24 Ore del 1° ottobre). Forse il fortino non è stato ancora espugnato: occorrerà aspettarsi qualche paletto del Garante della privacy e la resistenza delle associazioni di categoria degli intermediari, ma la quantità di dati a disposizione del fisco, anche sui rapporti finanziari è in ogni caso notevole.

L'accesso a questi dati da parte del fisco, peraltro, chiede un radicale cambiamento nei comportamenti fin qui tenuti da parte dei contribuenti (si vedano gli articoli riportati in basso): se finora si poteva ritenere più "comodo" far passare sottotraccia (con sistemi non tracciabili) finanziamenti, contributi da parte di familiari, oppure una serie di pagamenti, d'ora in poi sarà meglio poter documentare i movimenti, in modo che il fisco non possa attribuirli come reddito al soggetto sottoposto ad accertamento. Anche perché in molti casi spetterà a quest'ultimo il compito di fornire la difficile prova che non si trattava di redditi da tassare.

In sostanza due saranno le modalità per accedere ai conti dei contribuenti, sulla base delle indicazioni del decreto legge 138, allo studio dell'amministrazione finanziaria. Da un lato, infatti, si può partire da anomalie registrate negli stessi conti; dall'altro si possono chiedere dati per i soggetti che hanno già evidenziato qualche anomalia in campo fiscale.

Nel primo caso si tratterebbe di chiedere maggiori informazioni sui soggetti che hanno per esempio un numero di conti anomali rispetto alla situazione di un contribuente persona fisica. In questa circostanza, infatti, il sospetto è che alla persona fisica facciano capo attività imprenditoriali non dichiarate alle quali il fisco debba accedere. Un'altra possibilità è che vengano chiesti i dati per contribuenti che abbiano alcuni tipi di polizze o particolari forme di risparmio. La partenza dai dati bancari avrebbe probabilmente maggiori possibilità di intercettare piuttosto che fenomeni di evasione fiscale, vere e proprie truffe, mentre i meccanismi fraudolenti sono ancora in atto e i conti non sono ancora spariti.

L'altra possibilità è che si parta da anomalie fiscali per chiedere i dati bancari per supportare il ragionamento del fisco e per arrivare (se del caso) all'accertamento. In questo caso l'elenco potrebbe essere piuttosto ampio: si potrebbe andare dai soggetti non congrui o non coerenti con gli studi di settore (o almeno a una parte di essi); oppure a tutti i soggetti che si trovano fuori regola con i risultati del redditometro. In questo caso, quindi, il punto di partenza sarebbe un disallineamento fiscale, supportato dalle verifiche bancarie.

In questi giorni (si veda Il Sole 24 Ore del 30 settembre) gli incontri tra rappresentanti dell'amministrazione e degli intermediari finanziari stanno fissando le linee del dialogo per fornire le indicazioni relative alla situazione dei contribuenti. Del resto lo stesso ministro Tremonti, pur segnalando come inevitabile il processo che porta alla caduta del segreto bancario, ha sottolineato come il progetto vada attuato con «prudenza ed equilibrio», per evitare che spingendo troppo l'acceleratore lo si possa far fallire.

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