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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2011 alle ore 12:36.

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Il divieto di fecondazione assistita eterologa non viola la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo (www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com) . I giudici di Strasburgo, chiamati a esprimersi in composizione collegiale dopo il ricorso dell'Austria, smentiscono quanto già affermato dalla sezione semplice il 1° aprile del 2010, quando cinque giudici contro due decisero che la legge austriaca, impedendo la fecondazione eterologa e consentendo quella omologa, viola l'articolo 14 della Convenzione contro la discriminazione e l'articolo 8 sul rispetto della vita privata e familiare.

L'inversione di tendenza
Di parere diametralmente opposto la Grande chambre, che considera in linea con la Carta dei diritti fondamentali il divieto imposto dall'Austria. Alla Corte dei diritti dell'Uomo si era rivolta una coppia austriaca, per la quale il ricorso all'inseminazione eterologa era l'unica strada per avere figli a cuasa della sterilità del marito. Il no, incassato dalle giurisdizioni interne, era stato confermato anche dalla Corte costituzionale che, pur ammettendo le interferenze del divieto sulla vita familiare, le giustificava perché finalizzate, da una parte a scongiurare la creazione di legami inusuali, come quello di avere più di una madre biologica, dall'altra ad evitare lo sfruttamento di donne presumibilmente svantaggiate.

I motivi che legittimano il divieto
Motivazioni che la Grande camera fa sue. Il collegio di Strasburgo non manca di ricordare che le stessa normativa europea non si "schiera" sul tema della fecondazione omologa lasciando agli stati un ampio margine di discrezionalità. L'ordinamento interno austriaco – sottolinea la Corte – si limita a non consentire la donazione di ovuli e di sperma finalizzata alla fecondazione in vitro mentre considera lecita la donazione dello sperma per la fecondazione "in vivo". Un paletto a metà che si spiega anche con i molti interrogativi etici posti dalla rapida evoluzione del processo scientifico. La scelta della via del compromesso è da parte dell'Esecutivo di Vienna è testimoniata inoltre dal via libera alla fecondazione omologa e dalla possibilità offerta ai cittadini austriaci di recarsi all'estero per fare quanto nel loro paese è impedito.

Perché la Grande Chambre non ha sanzionato l'Austria
Pur ammettendo dunque che la tendenza in molti Stati europei è più permissiva di quanto non lo sia in Austria, la Grande Chambre nega a carico dello Stato l'esistenza di un obbligo positivo di prevedere l'accesso alla tecnica contestata. La Corte afferma, infine, la necessità di tenere conto che la "dissociazione" di maternità tra una madre genetica e una madre uterina crea dei rapporti molto diversi anche in paragone a quelli che si determinano con l'adozione.

Resta pendente un analogo ricorso di una coppia italiana
La Grande camera si pone in una dimensione diametralmente opposta rispetto alla posizione dei giudici della sezione semplice che, ad Aprile 2010, avevano contestato la doppia violazione. Secondo la precedente sentenza, non esisteva, infatti un obbligo dei governi di garantire l'accesso alla procreazione medicalmente assistita, ma una volta che questo esisteva, non poteva essere limitato alla sola fecondazione omologa. Non era, infatti, compatibile con la Convenzione una disparità di trattamento tra coppie con lo stesso problema. Due pesi e due misure che in Austria, come in Italia in virtù della legge 40/2004, sono invece ammesse. La sentenza di oggi è, con tutta probabilità destinata a avere ripercussioni su un analogo ricorso, tutt'ora pendente, fatto da una coppia italiana, contro il divieto imposto dalla legge 40.

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