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Questo articolo è stato pubblicato il 03 novembre 2011 alle ore 19:10.
Per alcuni una decisione oscurantista che ci riporta al Medioevo, per altri un giusto riconoscimento della libertà di scelta degli Stati. Non sono mancate le reazioni, di segno opposto, alla sentenza di oggi, con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha giudicato legittimo il divieto alla fecondazione eterologa previsto dalla normativa austriaca (leggi la sentenza). Una decisione che ribalta il verdetto del primo aprile 2010. Anche sull'onda dell'entusiasmo allora suscitato dall' "apertura" dei giudici della Corte europea, diversi tribunali italiani, tra cui Milano e Bologna, avevano fatto ricorso alla Corte costituzionale per sollevare una questione di legittimità, su cui la Consulta si sarebbe dovuta pronunciare il 20 settembre nel corso di un'udienza poi rimandata.
La Consulta chiamata a esprimersi sul caso di una coppia italiana
Secondo i ricorrenti la legge italiana creerebbe una discriminazione basata sulla patologia in contrasto con gli articoli 2, 3, 29 e 32 della Costituzione. Ci si chiede ora se la sentenza di oggi può influenzare sia il verdetto della Consulta sia la prossima decisione di Strasburgo, chiamata a esprimersi su un caso che riguarda una coppia italiana.
La differenza tra la normativa nostrana e quella austriaca
Certamente le normative austriaca e italiana sono simili ma non sovrapponibili. La prima ammette, come sottolineato dalla Grande Chambre, la donazione dei gameti maschili per la fecondazione in vitro, offrendo un'opportunità che il nostro ordinamento non prevede. In Italia manca quindi totalmente una possibilità che in Austria è solo dimezzata.
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