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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2012 alle ore 13:17.

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L'accelerazione dei fenomeni economici impone ai governi occidentali decisioni rapide e immediate. Non solo per adeguare i tempi di reazione alla velocità imposta dai mercati; ma soprattutto per difendere le tutele sociali ed il potere d'acquisto dei cittadini Le previsioni economiche a medio termine sono ancora condizionate da elementi di incertezza e criticità. Il rallentamento della crescita assume dimensioni generalmente più accentuate nei Paesi occidentali, rispetto alle economie emergenti di Cina e India, Brasile e Russia. Le prospettive sono tuttavia ancor più preoccupanti per il nostro sistema economico, caratterizzato da tassi di crescita ben inferiori a quelli dei principali partner commerciali.
A ciò si aggiungono mali antichi che portano istituzioni internazionali (OCSE, World Bank e FMI) a valutare l'Italia come un Paese in cui l'iniziativa economica privata è fortemente scoraggiata a causa dell'atteggiamento dell'amministrazione, non ultima quella fiscale; i processi decisionali pubblici per l'avvio di nuove imprese e le autorizzazioni delle grandi opere sono farraginosi; la giustizia civile, imbrigliata dalla lentezza dei processi, ostacola il corretto funzionamento dei mercati. Infine, in vaste aree del Paese problemi di ordine pubblico costituiscono di per sé un ostacolo a volte insuperabile allo sviluppo d'iniziative imprenditoriali lecite.

Il governo italiano si è finora impegnato a garantire la sostenibilità della finanza pubblica. L'evoluzione della crisi ha infatti colpito i debiti sovrani, e per prima cosa era necessario e opportuno mettere in sicurezza le fondamenta dello Stato; assicurare i servizi essenziali; difendere i risparmiatori. In questo scenario, il risanamento della finanza pubblica è divenuto un'emergenza non più rinviabile. Negli ultimi tre anni gli sforzi sempre più incisivi di Governo e Parlamento si sono concentrati su questo obiettivo. L'acuirsi della tensione sui titoli del debito ha imposto l'accelerazione dei programmi di consolidamento della riduzione strutturale della spesa pubblica, realizzata da ultimo con il dl 6 dicembre 2011, n. 201.
Finora il governo ha agito sul "numeratore" della crisi: i conti pubblici. Oggi è il momento di intervenire sul "denominatore": la crescita.
La crescita non si costruisce in laboratorio. La garantiscono, la assicurano, la realizzano i cittadini e le imprese.
I vincoli di finanza pubblica, ulteriormente irrigiditi anche in virtù delle più recenti decisioni assunte in sede comunitaria per garantire la stabilità dell'euro, rendono non praticabili politiche fiscali espansive a sostegno della domanda interna. La situazione impone pertanto strategie alternative basate su interventi incisivi. Con l'obbiettivo di favorire incentivi per l'iniziativa economica privata, creare condizioni più favorevoli per l'investimento interno ed estero, promuovere l'innovazione e più elevati livelli di efficienza in genere, come del resto più volte segnalato negli anni scorsi dalla Banca d'Italia e dall'Antitrust.

È in questa strettoia che si muove il governo. Il Bilancio pubblico non può più favorire la crescita. La Moneta unica ha reso impossibili le svalutazioni competitive che hanno anestetizzato la mancanza di riforme strutturali. Non resta, quindi, che liberare le risorse e la capacità di intraprendere propria delle imprese italiane, intervenendo proprio sugli ostacoli che hanno finora rallentato le potenzialità di crescita.
È necessaria, quindi, una politica economica adattata ai tempi. Che abbandoni progressivamente la logica del sussidio alle imprese, come anche l'idea di poter utilizzare l'amministrazione pubblica come ammortizzatore sociale; o, peggio ancora, che venga interpretata esclusivamente come un bancomat a disposizione del sistema, a prescindere dalla qualità della spesa.
Appare sempre più urgente promuovere le condizioni per una ripresa basata essenzialmente sullo sviluppo di autonome attività d'impresa: la liberalizzazione dell'economia rappresenta dunque una via ineludibile per il Paese, se vuole uscire dalla crisi rinsaldando le fondamenta della propria economia.
Questa possibilità, tuttavia, si scontra con alcuni ostacoli che caratterizzano storicamente il nostro sistema sociale ed economico e che si sostanziano in una regolazione protezionistica o comunque di ostacolo allo sviluppo di autonome iniziative imprenditoriali.

Essenziale diviene una complessiva e generalizzata opera di revisione del quadro normativo e regolamentare che, ai diversi livelli di governo e di competenza e senza distinzioni tra categorie, interessi e settori economici, elimini le molte e ingiustificate situazioni di barriere all'accesso e le rendite di posizione ancora esistenti. Con l'obbiettivo di ampliare le opportunità di lavoro e le prospettive di mobilità e di promozione sociale. Affinché un simile processo di riforma possa conseguire concreti effetti è necessario che sia sostenuto dal più diffuso consenso sociale che si alimenta solo se le misure proposte hanno carattere generale e non discriminatorio: l'azione di apertura dei mercati deve procedere in tutte le direzioni.
In Italia, i settori che producono servizi al riparo dalla concorrenza internazionale sono, sostanzialmente, tutti i settori diversi dal manifatturiero (commercio, trasporti, credito e assicurazioni, costruzioni, elettricità, gas, acqua, hotel e ristoranti, professioni) e rappresentano più del 50 per cento del valore aggiunto complessivo. In questi settori il grado di concorrenza, sulla base di confronti tra paesi OCSE, è relativamente basso. Vi sono, infatti, barriere all'entrata, regolamentazioni sui prezzi e/o limitazioni alle forme d'impresa che garantiscono alle imprese già presenti sul mercato un potere che permette loro di applicare margini di profitto molto elevati rispetto ai costi. Secondo i dati OCSE, per l'Italia il margine di profitto medio nei settori dei servizi sarebbe pari al 61 per cento, contro il 35 per cento nel resto dell'area dell'euro e il 17 per cento nei settori che producono beni e servizi sottoposti alla concorrenza internazionale.

Obbiettivo del presente decreto è quello di modificare questi rapporti, attraverso un intervento a largo spettro sui settori interessati. A partire proprio da quelli che coprono la metà del valore aggiunto nazionale. In particolare, si pongono le premesse normative per attivare una radicale riforma della regolazione delle attività economiche che elimini la necessità di preventivi atti di assenso all'avvio delle attività economiche e ridefinisca – semplificandolo - il quadro dei requisiti necessari per il loro svolgimento. Interventi che si inseriscono nel solco delle proposte di modifica Costituzionale dell'art. 41, già presentate in questa legislatura.
L'intervento dell'amministrazione è quindi concepito in forma di controllo ex-post, per valorizzare al massimo le iniziative imprenditoriali. Ed in questo quadro si inseriscono le norme che cancellano le richieste di certificati da parte della pubblica amministrazione.
Questa riforma punta ad eliminare ostacoli ingiustificati nelle norme e nelle prassi amministrative. E vedrà impegnati tutti i livelli di governo del Paese. Dal governo centrale alle Regioni, agli enti locali. Con un ruolo attivo del governo nei confronti delle Regioni inadempienti, come previsto dell'art.120 della Costituzione.
Il quadro economico internazionale, il livello del debito pubblico, la crescita al rallentatore non consentono più al Paese sacche di privilegi e rendite di posizione.

Il mercato deve riprendersi gli spazi per troppo tempo limitati a causa della sedimentazione di questi benefici, non più motivati. Per questo, il decreto contiene misure tese ad allargare il perimetro dei mercati e a stimolare il gioco della concorrenza. Con interventi sui i servizi professionali, i servizi notarili; la distribuzione farmaceutica e i farmaci generici; la distribuzione dei carburanti e della stampa; i mercati elettrici e del gas; i servizi bancari e assicurativi; i servizi e le infrastrutture di trasporto nei settori autostradale, ferroviario, aeroportuale, portuale e nella mobilità urbana; i servizi pubblici locali, a esclusione del servizio idrico; attività turistiche su beni demaniali.
La crisi economica colpisce in modo particolare le categorie meno protette. I giovani, innanzitutto. Per questo, vengono introdotte misure per favorire l'accesso dei giovani alle attività economiche, salvaguardando la qualità della formazione, rimuovendo gli ostacoli per la costituzione di società a responsabilità limitata. Sono, inoltre, stabilite nuove forme di garanzie ulteriori per i consumatori: si rende più snella la procedura della azione collettiva di classe e si attiva una forma di controllo amministrativo sulle clausole vessatorie nei contratti di massa.
Si tratta di un primo intervento ad ampio raggio che è il frutto della convinzione di dover agire in tutte le direzione, ovunque sia possibile inserire stimoli competitivi. Dunque, è l'inizio di un lavoro, di una politica economica orientata alla crescita.
Il presente decreto si pone, dunque, nel solco degli interventi, in parte già delineati nella legislatura in corso e ampiamente condivisi in ambito Parlamentare, per allineare il nostro Paese alle best practices europee.

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