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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 17:34.

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Si andrà in pensione dopo aver lavorato di più. In sintesi è questo il leit motiv della riforma previdenziale contenuta nel decreto legge 201/2011, che fa un nuovo passo avanti verso l'armonizzazione delle regole tra le varie gestioni. Nel 2021, anche per il meccanismo di adeguamento dei requisiti per l'aumento della speranza di vita, uomini e donne, del pubblico e del privato, andranno in pensione di vecchiaia a 67 anni. Per chi ha la pensione calcolata interamente con il contributivo, vale a dire con versamenti accreditati dal 1° gennaio 2006, è possibile conseguire un trattamento anticipato. C'è una condizione: che si siano accumulati almeno 20 anni di contributi e che la prima mensilità di pensione sia di importo pari ad almeno 2,8 volte l'assegno sociale.
Per i lavoratori precoci resta aperto anche il canale della pensione anticipata con 41 e un mese e 42 anni e un mese di contributi, rispettivamente per le donne e gli uomini. Il requisito è destinato ad aumentare anche per il meccanismo della speranza di vita: il primo scatto all'insù è di tre mesi nel 2013. Dunque l'anno prossimo occorreranno 41 e 5 mesi per le donne, 42 anni e cinque mesi per gli uomini, che diventeranno, rispettivamente, 41 e sei mesi e 42 anni e sei mesi.

Anche il calcolo contributivo esteso a tutti per i contributi versati da quest'anno va nella direzione di un sistema con regole omogenee, dove vengono eliminati i regimi speciali. Infatti, anche coloro che, al 31 dicembre 1995 avevano almeno 18 anni di contributi, risparmiati allora dal metodo di calcolo strettamente legato a quanto versato, devono fare i conti – pro rata, cioè solo per i contributi versati da quest'anno – con il metodo contributivo.
Se questa è la filosofia della riforma, capace di assicurare maggiore equità – ciascuno riceve in base a quanto versa, senza addossare su altri, in particolare sulle generazioni future, l'onere di una prestazione troppo generosa – la fase transitoria ha dovuto essere calibrata in modo da evitare penalizzazioni eccessive per alcuni.
In questo senso, si è molto discusso sulla platea degli esonerati dalla riforma (al di là di quanti hanno raggiunto i requisiti per la pensione nel 2011): all'inizio sono stati esclusi tutti i lavoratori che hanno dovuto lasciare il lavoro in seguito ad accordi individuali e incentivi all'esodo non collegati a procedure collettive. Ora con il Dl Milleproroghe nella platea dei potenziali esentati rientrano anche i lavoratori il cui rapporto di lavoro si sia risolto entro il 31 dicembre 2011, in ragione di accordi individuali o in applicazione di accordi collettivi di incentivo all'esodo stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale.

La data di cessazione del rapporto di lavoro deve risultare da elementi certi e oggettivi (per esempio le comunicazioni obbligatorie), che saranno specificati con un decreto ministeriale (entro il 30 giugno), e il lavoratore deve possedere i requisiti anagrafici e contributivi che, in base alla precedente disciplina, avrebbero oportato a conseguire il trattamento entro il 2013. In ogni caso, c'è da rilevare l'handicap delle risorse, che forse non saranno adeguate a coprire tutte le esenzioni. Fra gli altri esonerati: le persone che hanno risolto o accettato di risolvere il rapporto di lavoro nell'ambito di una procedura collettiva di mobilità che sia terminata con la stipula un accordo sindacale prima del 4 dicembre 2011. Rientrano, poi, nell'esenzione anche i lavoratori collocati in mobilità lunga, per effetto di accordi collettivi stipulati entro il 4 dicembre, e i lavoratori che in tale data erano già titolari di una prestazione straordinaria a carico dei fondi di solidarietà di settore. Infine, sono esonerati i lavoratori che, prima del 4 dicembre 2011, siano stati autorizzati alla prosecuzione volontaria della contribuzione oppure i dipendenti pubblici che abbiano ottenuto di essere esonerati dal servizio.

Con il Milleproroghe viene individuata una clausola di salvaguardia per il caso in cui la platea interessata all'applicazione delle vecchie norme sia superiore alla capienza delle risorse in campo. In questo caso, si prevede che le domande ulteriori, rispetto a quelle ammesse, potranno essere prese in considerazione dagli enti previdenziali solo a condizione che, con decreto del ministro del Lavoro, sia stabilito un incremento delle aliquote contributive non pensionistiche a carico di tutti i datori di lavoro del settore privato.
Un capitolo aperto resta quello della ricongiunzione dei contributi dai fondi alternativi all'Ago verso l'Inps: dal 2010, infatti l'operazione è diventata onerosa per evitare tra l'altro che la "somma" possa aumentare i contributi anti 1996, quelli valorizzati con il calcolo retributivo. Il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, sembra aver chiuso le speranze mettendo sul tavolo i fondi che sarebbero necessari per la ricongiunzione gratuita: 378 milioni quest'anno; 1,4 miliardi dal 2015. Tuttavia, i lavoratori colpiti dalla nuova ricongiunzione hanno dato vita, attraverso Internet, a un movimento di protesta. Al di là dei sindacati.

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