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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 18:42.

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Si riapre ufficialmente la partita dei correttivi da apportare alla riforma delle pensioni per tutelare chi è rimasto in mezzo al guado fra lavoro e pensione e rischia di trovarsi senza reddito per anni.
A rimettere la palla in gioco è stato ieri lo stesso ministro del Welfare, Elsa Fornero, nel corso di un'audizione alla commissione Lavoro del Senato: «Spero di potermi occupare prestissimo del problema», ha spiegato Fornero ai senatori dopo settimane impegnative «soprattutto sul fronte della riforma del mercato del lavoro». Nel frattempo, il ministero ha «tenuto sotto monitoraggio la situazione», giungendo alla conclusione che «i numeri sono anche superiori a quelli preventivati». La soluzione, ha concluso il ministro, passa da «una normativa», che «spero di riuscire a dare in tempi piuttosto brevi».
L'ipotesi, insomma, è quello di un nuovo intervento normativo, per integrare la disciplina transitoria scritta nel decreto di Natale (articolo 24 del Dl 201/2011) e riformulata nel «Milleproroghe» di fine anno (articoli 6 e 6-bis del Dl 216/2011). Il problema ha molte sfaccettature ma un minimo comun denominatore: riguarda persone che, uscite dal lavoro in anticipo ma con la prospettiva di andare in pensione in pochi mesi, si sono visti spostare in avanti dalla riforma il traguardo previdenziale e sono rimasti privi di paracadute per il reddito.

La via individuata fin dal decreto «Salva-Italia» è stata quella di riservare a queste persone l'applicazione delle vecchie regole, ma le esigenze finanziarie hanno imposto di restringere la tutela a determinate categorie e all'interno di stanziamenti di bilancio predefiniti. Finora, però, la coperta "corta" ha determinato situazioni paradossali: la clausola, infatti, può scattare per chi è stato coinvolto in accordi di mobilità, oppure per chi è uscito grazie a un esodo incentivato dopo un accordo individuale con l'azienda, ma non per chi è stato licenziato direttamente senza nemmeno una spinta economica.
I nodi stretti delle risorse finanziarie, poi, hanno imposto di accorciare il calendario tutelato quando, con il «Milleproroghe», è stata prevista una parziale estensione della platea. Risultato: i lavoratori coinvolti in un accordo aziendale firmato prima del 4 dicembre, ma con uscita effettiva dopo Capodanno, erano tutelati nella prima versione della riforma, ma non più in quella "corretta" dal «Milleproroghe». Il balletto, come indirettamente confermato ieri dal ministro in commissione, interessa una platea molto ampia di lavoratori, dopo un anno in cui la crisi occupazionale ha moltiplicato le uscite dalle aziende con o senza accordi collettivi o individuali.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

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