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Questo articolo è stato pubblicato il 19 aprile 2012 alle ore 16:55.

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1 -DIMORE FAMILIARI
Per abitazione principale si prevede che sia tale solo quella in cui risiedono e dimorano il contribuente e il suo nucleo familiare. Viene inoltre precisato che in presenza di più residenze per lo stesso nucleo nel medesimo comune l'abitazione principale sia una sola. Premesso che non è affatto chiaro cosa si intenda esattamente per nucleo familiare, se la clausola intende replicare la medesima logica dell'Ici, non vi potranno mai essere più abitazioni principali per la stessa famiglia, a prescindere che si tratti del medesimo comune o di comuni distinti.
In caso di abitazione assegnata in sede di separazione o divorzio al coniuge non titolare di diritti reali su di essa, ai soli fini dell'Imu il coniuge assegnatario si considera titolare del diritto di abitazione. Ne consegue che l'unico soggetto passivo Imu risulterà il coniuge assegnatario.

2 -CASE VUOTE E IMPRESE
Le case sfitte o a disposizione non vengono toccate dalle modifiche. Ne deriva che resta la sperequazione di fondo dell'Imu, che per tali immobili assorbe l'Irpef sui redditi fondiari.
Agli immobili appartenenti a imprese e per i beni dei soggetti Ires si applicano le ordinarie imposte sul reddito d'impresa oppure l'Ires. Gli immobili d'impresa, ai sensi dell'articolo 43 del Tuir, non sono solo quelli strumentali, ma tutti i beni "relativi" alle imprese, cioè anche i beni-merce e quelli patrimoniali. I comuni potrebbero differenziare le aliquote ridotte per tali fattispecie anche per categorie di beni. Così, a fronte di un'aliquota ordinaria pari all'8 per mille, si potrebbe deliberare un'aliquota del 7 per mille per gli immobili delle imprese artigiane e una del 7,6 per mille per i fabbricati industriali. Non potrebbe invece adottarsi un prelievo del 9 per mille per gli istituti di credito.

3 -CASE A CANONE CONCORDATO
In ambito Ici, i comuni avevano deliberato spesso aliquote molto basse, allo scopo di incentivare questa modalità contrattuale. La cedolare secca sui canoni in esame è pari al 19%, invece che all'ordinario 21 per cento. Nell'impianto originario dell'Imu, va ricordato, per tutti i beni locati l'aliquota era di diritto ridotta alla metà e il margine di variazione del comune era di due punti millesimali, invece di tre. Tale previsione è tuttavia inapplicabile nell'Imu sperimentale, per evidente incompatibilità. Allo stato, quindi, anche per gli affitti a canone concordato l'aliquota naturale di riferimento è il 7,6 per mille, fatta salva la possibilità di deliberare una riduzione sino al 4 per mille. Il punto è però che sino a quando anche sui beni in questione si calcolerà la quota erariale, in alcun caso si potrà scendere al di sotto del 3,8 per mille e difficilmente si concederanno forti sconti.

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