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Questo articolo è stato pubblicato il 26 gennaio 2013 alle ore 10:40.

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Quanto ai trend, nel periodo di riferimento c'è stato un autentico boom delle frodi comunitarie (+77%) e delle truffe (+71%): nel primo caso ha inciso un maggiore flusso di fondi Ue in entrata mentre nel secondo si tratta soprattutto di clonazioni di carte di credito e vendita di beni e servizi su internet.
Il dramma della crisi, poi, si riversa sulle istanze di fallimento, aumentate di un quinto rispetto al periodo precedente (1.014 contro 844). Ma il problema più grave, sottolineato nella relazione del presidente della Corte d'appello, è la durata dei processi fallimentari: in media, infatti, ci vogliono 14 anni per la loro definizione, con punte di 21 anni al tribunale di Termini Imerese.
In calo, infine, i casi di bancarotta fraudolenta (-26%) e quelli di usura (-14%), mentre salgono, se pur di poco, i casi di estorsione (592 contro i 572 del periodo precedente) che restano appannaggio esclusivo di Cosa nostra.

Il racket del pizzo «ridimensionato»
Ciò nonostante, come sottolinea Vincenzo Oliveri, il fenomeno del racket del 'pizzo' appare «grandemente ridimensionato». Anche in questo caso, infatti, la crisi economica si fa sentire e ciò «rende le vittime meno propense a cedere». Così la mafia siciliana starebbe tornando a interessarsi del business del traffico di stupefacenti. Ma si tratta di una Cosa nostra senza più un capo, con la sola eccezione dell'ultimo grande latitante, Matteo Messina Denaro, attualmente unico personaggio in grado di fare da catalizzatore in un eventuale processo di restaurazione della 'cupola'. Il risultato è che i reati per associazione mafiosa sono in progressiva diminuzione e, «perdurando l'attuale tensione morale collettiva e la efficace e intensa azione repressiva – spiega Oliveri - la definitiva sconfitta della mafia comincia ad apparire un risultato possibile anche se non a breve scadenza. Ma ciò dipende anche dalla politica che deve veicolare "precisi e inequivocabili segnali che facciano crollare ogni possibile speranza di attenuazione del sistema repressivo o, peggio, di generalizzata revisione dei processi».

Marcare i confini con la politica
In una relazione che, come detto, contiene apprezzamenti per il governo dei tecnici, a essere presa di mira è la classe politica, "indifferente ai bisogni della gente, arroccata com'è nel suo fortino dove, difesa da faccendieri e intrallazzatori, pensa solo a proteggere sé stessa e i propri privilegi, ignorando i bisogni del 'paese degli onesti' che, rispetto a chi si fa scherno delle regole, rappresenta la gran parte delle popolazione". Un attacco che diventa ancora più incisivo quando si va ad analizzare i provvedimenti legislativi adottati. «Paradigmatica della crisi della giustizia è proprio la situazione del settore penale, dove più si avverte il conflitto fisiologico tra politica e giustizia» dice Oliveri, aggiungendo poco dopo che «la politica non sarà mai disposta a far funzionare la giustizia nell'interesse del cittadino se prima non avrà definito i poteri della magistratura penale e messo se stessa in condizioni di sicurezza». E a marcare ancor più i confini fra i due poteri, infine, interviene il consigliere del Csm Franco Cassano che stigmatizza l'entrata in politica dei magistrati perché «getta a ritroso un'ombra per il possibile condizionamento dell'attività giurisdizionale e - conclude - dà all'opinione pubblica il dubbio sull'attività precedentemente svolta».

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