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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2013 alle ore 06:51.

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Mini flessibilità sul contratto a tempo determinato, ma anche qualche irrigidimento in più: questa è la sintesi che emerge dopo l'ulteriore intervento del legislatore contenuto nel decreto legge Iva-lavoro n. 76/2013 (la legge di conversione, varata dal Parlamento, è attesa in settimana in «Gazzetta Ufficiale»).
Contratti senza causale
Sulla possibilità di stipulare un contratto privo di causale si registra una minima apertura da parte del legislatore, dal momento che – pur in assenza di un ripensamento generale della disciplina – vengono previste sostanzialmente due ipotesi di esenzione:
e primo rapporto instaurato tra le stesse parti, di durata non superiore a 12 mesi (compresa eventuale proroga), fermo restando che per «primo rapporto» ci si riferisce sia al contratto di lavoro subordinato sia alla prima missione nell'ambito della somministrazione di lavoro;
r eventuali altre ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, anche aziendale.
In altri termini, da un lato si liberalizza per legge l'utilizzo del contratto a termine di durata non superiore a 12 mesi, dall'altro lato è concessa una delega ampia alla contrattazione collettiva (anche aziendale) di disporre in fase di negoziazione maggiori margini di utilizzo; ma serve, per l'appunto, una previsione contrattuale.
La maggiore apertura di impatto immediato, però, riguarda la proroga. L'impossibilità di prorogare il contratto senza causale, infatti, era stata denunciata come elemento di eccessiva rigidità dagli addetti ai lavori: ora la proroga potrà avvenire, per una sola volta, nel rispetto del limite massimo di durata del contratto a termine acausale di 12 mesi.
Resta qualche dubbio sul fatto che l'istituto della proroga per i contratti acasusali è ora disciplinato dall'articolo 4 del Dlgs 368/2001, riferito ai contratti a termine in genere, che richiede la sussistenza di ragioni oggettive. Tuttavia è ragionevole ritenere che per i contratti acausali non abbia senso pretendere una «ragione oggettiva» per la proroga, laddove il contratto stesso sia stato avviato senza indicare una specifica motivazione.
La nuova rigidità, invece, è rappresentata dalla modifica che prevede l'estensione dei limiti quantitativi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) anche ai contratti a termine privi di causale. Quindi, le aziende non potranno avviare contratti privi di causale se sono stati raggiunti i limiti quantitativi fissati dai Ccnl.
La prosecuzione di fatto
È stato abolito l'obbligo di comunicare al Centro per l'impiego competente – entro la scadenza del termine inizialmente fissato – la prosecuzione del rapporto e la durata della prosecuzione stessa.
È stato specificato, inoltre, che l'utilizzo del contratto acausale oltre i termini previsti dalla norma (oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, oppure oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi), implica la conversione del rapporto a tempo indeterminato alla scadenza di questi termini.
Alla luce della modifica introdotta, che incide soltanto sulla «trasformazione» del rapporto, resta ora il dubbio se l'utilizzo della prestazione oltre i termini fissati, conduca – anche sotto l'ipotesi del contratto privo di causale – alla necessità di riconoscere le relative maggiorazioni retributive (20% fino al decimo giorno successivo e 40% dall'undicesimo giorno).
Intervalli tra contratti
Sul fronte degli intervalli temporali tra un contratto a tempo determinato e l'altro, si registra un completo dietro-front del legislatore, che nei fatti ripristina la normativa precedente alla riforma Fornero (si veda anche l'articolo a destra). Allo stato attuale, pertanto, gli intervalli temporali dovranno avere la seguente durata:
- 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto fino a sei mesi;
- 20 giorni dalla scadenza di un contratto superiore a sei mesi.
Il mancato rispetto dei termini indicati comporta la conversione del secondo contratto a tempo indeterminato.
Lavoratori in mobilità
Sono esclusi dal campo di applicazione del Dlgs 368/2001 i contratti a tempo determinato per lavoratori in mobilità disciplinati all'articolo 8, comma 2, della legge n. 223/1991, che dunque non sono soggetti – tra l'altro – all'obbligo di causale.
Restano tuttavia applicabili le disposizioni dettate dal Dlgs 368 contenute negli articoli 6 (Principio di non discriminazione) e 8 (Criteri di computo ai fini dell'applicazione della legge 300/1970, secondo il quale i contratti a termine sono computabili se di durata superiore a nove mesi). L'applicazione di questi due articoli è stata prevista a seguito delle modifiche apportate dal Senato e quindi trova applicazione a partire dalla data di conversione in legge del provvedimento.

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