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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2014 alle ore 13:13.
L'ultima modifica è del 13 maggio 2014 alle ore 13:42.

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Da anni la giurisprudenza e la dottrina si sono divise sul complesso tema della possibilità o meno di ottenere la rimozione dei dati personali degli utenti dai risultati di ricerca rivolgendosi direttamente agli Internet Service Provider. In particolare, la Corte di cassazione con la sentenza sul famoso caso Google/Vividown aveva escluso che il più popolare motore di ricerca potesse essere considerato titolare del trattamento dei dati personali degli utenti. Nelle motivazioni, depositate lo scorso 3 febbraio si leggeva chiaramente che «gli unici titolari del trattamento dei dati sensibili caricati su youtube sono gli stessi utenti , ai quali possono essere applicate le sanzioni amministrative e penali previste dal codice della Privacy», arrivando all'assoluzione dei tre dirigenti di Google. Le difficoltà di individuare gli utenti, che spesso si muovono con l'anonimato e usando spesso un proxy che rende difficilmente rintracciabile l'indirizzo IP, nonché la scarsa solvibilità dei privati, rendeva di fatto scarsamente percorribile la via giudiziaria.

Gli effetti
La Corte di Giustizia con la sentenza di oggi apre un varco che, almeno per i cittadini europei, potrebbe avere importanti ripercussioni pratiche. Gli utenti, ad esempio, potranno proporre una istanza (una richiesta scritta inviata con raccomandata a/r) direttamente all'Internet Server provider o al Garante per la protezione dei dati personali, chiedendo che i propri dati personali non vengano indicizzati. La tutela si applica non solo ai contenuti diffamatori, ma anche a quelli che contengano i dati personali degli utenti che «in relazione al tempo trascorso e alle finalità per le quali sono stati trattati non siano più pertinenti». Un rafforzamento del diritto all'oblio che si applica però ai gestori dei motori di ricerca, che non potranno più far ricadere tutta la responsabilità soltanto sugli utenti.

D'ora in poi quando un motore di ricerca riceverà la richiesta di un utente dovrà avviare un'istruttoria completa per l'esame della domanda, prima di decidere quale sia la soluzione ritenuta idonea. La Corte fissa i paletti, precisando che non è necessaria sempre la cancellazione del contenuto, ma spesso può bastare la rimozione dall'elenco dei risultati "salvo che sussistano ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica" che possa giustificare la permanenza dell'indicizzazione.

Prospettive future
Oltre a un aumento delle richieste di cancellazione che verosimilmente arriveranno all'indirizzo dei principali motori di ricerca, potrebbero esserci altre conseguenze, come la necessità della predisposizione dell'informativa privacy completa da fornire agli utenti, nonché un incremento delle azioni cautelari e anche delle querele per trattamento illecito dei dati personali che potrebbero essere indirizzate direttamente ai motori di ricerca. C'è da vedere soltanto in che modo i giudici italiani metteranno in pratica i principi fissati oggi dalla Corte del Lussemburgo.

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