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Con la marea Bp rischia la scalata. Obama «infuriato» vola in Louisiana

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2010 alle ore 08:03.

LONDRA - La Bp è riuscita a posizionare un tappo su un braccio flessibile del pozzo da cui fuoriesce greggio, nel Golfo del Messico. La notizia è stata data dalle tv Usa. Il numero uno del colosso petrolifero, Tony Hayward, ha affermato che ci vorranno «tra le 12 e le 24 ore» per sapere se l'operazione sia riuscita, ma ha ammesso che «c'è comunque un rischio» di insuccesso.

Per la terza volta in un mese, la seconda in una settimana, il presidente degli Stati uniti oggi si reca in Louisiana per constatare di persona l'evoluzione della marea nera. La società petrolifera britannica è stata accusata ancora una volta dal capo di stato americano di non aver fornito "la risposta rapida" che si ci attendeva. «Sono infuriato per questa situazione perché è un esempio di come certe persone non pensino alle conseguenze delle loro azioni» ha affermato Obama nel corso di un'intervista alla Cnn.

Quanto all'odissea di Bp, qualcuno ha già mobilitato John D. Rockfeller e la Standard Oil. Finirà così, suggeriscono, la storia del colosso britannico e del più grande inquinamento petrolifero d'America. Finirà, cioè, resuscitando l'epopea petrolifera americana, ricombinando pezzi di industrie scomposte un secolo fa. Assomiglierebbe appena appena, in realtà, a Standard Oil, il gigante del greggio che potrebbe emergere dal Golfo del Messico. È lo scenario evocato dalla Exxon che mette le mani su Bp, il meno probabile fra quelli che si tracciano nelle chiacchiere di questi giorni, ma forse anche nei board delle majors.

Il più logico è quello che vede uscire dal grembo della piattaforma Macondo un altro mostro del greggio, con Shell che si compra Bp. Lo aveva già immaginato Lord Browne, ceo del gruppo prima di Tony Hayward. Nelle sue memorie l'ex numero uno del gruppo inglese ripercorre il lungo corteggiamento di cui Shell e Bp furono protagoniste. Cominciò la società anglo-olandese nel 1995 con un secca avance: facciamo il più grande gruppo privato del mondo. Secondo Lord Browne «sarebbe stato per Shell un modo molto economico per entrare in aree del pianeta a lei aliene». Un decennio più tardi fu Browne a giocare con la stessa idea per realizzare sinergie da quasi dieci miliardi di dollari nel giro di tre anni. Non se ne fece nulla neppure allora.

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Tags Correlati: Bp | Cnn | Era partito | Fitch | Golfo del Messico | John D. Rockfeller | Lord Browne | Louisiana | Moody's | Prezzi e tariffe | Shell | Standard Oil | Tony Hayward

 

Il crollo del titolo Bp, con oltre 61 miliardi di dollari di capitalizzazione dissolti, ha generato un "colosso minore", ristretto come si è a meno di 119 miliardi di dollari, ovvero la metà di Exxon e solido terzo alle spalle di Shell. A gennaio Bp guardava a Shell dall'alto di un pila di miliardi in più.

Se accadrà davvero, se cioè, Bp diverrà preda di un takeover o compiacente partner di una fusione lo si saprà fra qualche tempo. Oggi c'è una sola certezza rispetto a prima: è possibile. La caduta dei valori lo rende uno scenario, magari non probabile, certamente percorribile. Né il sussulto del titolo ieri ha cambiato alcunché. Era partito all'insù con un più 4,7% sulla scia del discreto ottimismo che circonda i nuovi tentativi di controllare il getto di greggio nell'oceano, ha chiuso con un ritocco dell'1,6. Una ricaduta che ha il nome e cognome di Moody's e Fitch. Le società di rating hanno rivisto al ribasso il giudizio sulla compagnia petroliferia (da Aa1 ad Aa2 per Moodys e da AA+ ad AA per Fitch) tenendo oltretutto la porta aperta per ulteriori revisioni. Il giudizio accompagna il ritmo dei bond che sono schizzati del 2% dal fine settimana a ieri.

L'attenzione maggiore è però rivolta alle parole che pronuncerà oggi il ceo Tony Hayward. Ha annunciato un discorso agli azionisti. Che cosa dirà non è ovviamente ipotizzabile, quello che gli investitori vogliono sentirsi dire è, invece, ovvio: nessun taglio del dividendo. Dagli Stati Uniti invocano una sforbiciata radicale, anzi l'azzeramento, ritenendo inaccettabile lo stacco della cedola in un contesto di assoluta incertezza finanziaria come quello attuale. Il conto dei danni è quantomai ipotetico nell'ordine com'è delle decine di miliardi di dollari. Tredici si sussurava nei giorni scorsi, venti si dice ora, infilando di tutto dalle multe, ai danni dei privati e degli enti pubblici, ai costi di pulizia. Altri credono che il prezzo finale sarà ancora più elevato fino a 37 miliardi di dollari secondo quanto fonti di agenzia attribuiscono a valutazioni di Crédit Suisse (per Ubs saranno 40). Nella storia recente di Bp c'è un solo precedente di dividendo ribassato. Risale al 1992 quando fu dimezzato e il ceo, per questo, dovette dimettersi. I fondi pensioni e i maggiori investitori istituzionali in un caso del genere potrebbero decidere di disinvestire più di quanto stanno già facendo. Lo scorso anno Bp distribuì 10,5 miliardi agli azionisti e quest'anno la prima cedola è attesa per il 22 giugno. Quella successiva dovrebbe essere annunciato il 27 luglio. Dovrebbe, appunto.

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