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Reportage sulla marea nera / Bp censura il disastro ambientale a Grand Isle

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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2010 alle ore 08:03.

GRANDE ISLE (LOUISIANA) - «Siamo consapevoli che è nostro dovere tenervi informati». Questo dice ai telespettatori americani Tony Hayward, amministratore delegato della Bp nel più recente spot da lui mandato in onda in America. Ma un viaggio dell'inviato de Il Sole 24 Ore a Grand Isle, la piccola isola lunga e stretta che si affaccia sul Golfo del Messico di fronte al luogo della catastrofe, attesta semmai il contrario. E cioè che Bp e i suoi appaltatori stanno facendo di tutto per limitare l'accesso all'informazione sull'impatto della marea nera.

Grand Isle vive di fatto in uno stato di Bp-olizia. Non solo tutto viene coordinato e deciso dalla Bp, ma è vietato l'accesso alle zone più colpite dal petrolio e le forze dell'ordine locali impediscono ai giornalisti di entrare in contatto con gli addetti alla pulizia delle spiagge. Di fatto Bp controlla l'intera filiera informativa. Quando si contatta il quartier generale della Guardia Costiera a Washington per chiedere dettagli, si riceve il numero di telefono del Joint Information Center, o Jic, di Robert, appena fuori New Orleans. Chiamiamo per chiedere di prendere parte a una delle missioni aeree o navali nella zona della piattaforma esplosa. Ci viene detto che qualcuno ci richiamerà. Ma nessuno lo farà mai. In compenso ci è consigliato di visitare il centro di riabilitazione degli uccelli di Fort Jackson. Da lì avremmo potuto scrivere una storia commovente e ricca di speranza su come si stanno salvando gli uccelli, cosa che abbiamo già fatto (Il Sole 24 ore, 11 giugno).

Quando chiediamo al nostro interlocutore la sua qualifica, ci aspettiamo un rango militare. La risposta è invece: «Mi chiamo Jim. E lavoro per Bp». Chiediamo il numero di telefono del Jic di Mobile, in Alabama. Lì ci risponde Nicole. E per chi lavora? Per Bp. «Ma come? - domandiamo - si chiama la Guardia Costiera e ci si trova a parlare con persone della Bp?». «Qui siamo tutti un solo team», è la risposta di Nicole. «Abbiamo tutti lo stesso obiettivo». Può darsi. Ma sul campo la Bp non dà in alcun modo l'impressione di condividere l'obiettivo dei giornalisti.

Come arriviamo a Grand Isle, ci dirigiamo verso la spiaggia. È una lunga striscia bianca larga circa 150 metri e lunga circa 11 chilometri. Proviamo ad avvicinarci al mare. Ma non facciamo in tempo a scavalcare la lunga barriera di sabbia parallela al bagnasciuga creata dagli addetti alle operazioni di pulizia che ci viene incontro a tutta velocità un fuoristrada con due persone a bordo. Sul cofano è ben visibile un adesivo: "BP Safety". La scelta delle parole non è casuale: safety significa tutela. A differenza di security, che vuol dire sicurezza. Ed è quindi una parola più minacciosa.

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(foto Epa)

Tags Correlati: Adam Dillon | Bp | Grand Isle | Jackson Fort | Patrick Shay | Quartier Generale | Società dell'informazione | Stati Uniti d'America | Tammy Foret | Todd Vean | Tony Hayward

 

«Torni subito indietro. È vietato andare oltre la barriera», dicono con fare deciso. Ne chiediamo il motivo. «È zona contaminata». Spiegano che per «ragioni di tutela» nessuno può avvicinarsi al bagnasciuga. È perciò impossibile valutare le condizioni a riva. Dove lavorano squadre di addetti in stivali e camici bianchi che rastrellano la spiaggia. Da lontano si vede che raccolgono qualcosa e la mettono in sacchetti di plastica, anch'essi bianchi. Un gruppo di queste persone sta facendo una pausa sotto una tenda blu che li ripara dal sole tropicale. Ci dirigiamo nella loro direzione per chiedere come si sta evolvendo la situazione - se il catrame sta aumentando. Non facciamo a tempo ad avvicinarci che veniamo fermati da un'altra persona su un furgone. «Niente domande», ci intima. Proviamo a chiedere comunque. Ma nessuno vuole rispondere: «Ci hanno detto di non parlare». Decidiamo di andare qualche chilometro più avanti. Fino alla punta nord dell'isola, dove c'è una riserva naturale. Un signore alto e corpulento ci viene subito incontro. Si chiama Adam Dillon. Ma altro non è autorizzato a dire. «La nostra società ci ha detto che non possiamo parlare», spiega. Chiediamo quale società. Si rifiuta di rispondere.

Proviamo a raggiungere la riva del mare. Ma è stato steso un lunghissimo tubolare arancione oltre al quale non è consentito andare. Proviamo a chiedere informazioni. Ancora una volta la risposta è che nessuno è autorizzato a parlare. Comincia a diventare una litania noiosa e opprimente. Andiamo nel centro del paesino per appurare lo stato d'animo dei locali. «Ormai mi sento come se vivessi nel paese di Bp anzichè nel mio», dice Tammy Foret, manager di un negozio di granite, Meagan's Snowballs, di proprietà del sindaco. Gli affari vanno male: «Il 60% in meno dell'anno scorso, e non c'è neppure la speranza che la situazione migliori». L'unica arma rimasta è l'ironia. Tammy ha creato due nuove granite: una si chiama "la fuoriuscita di petrolio" ed è tutta di cioccolato. L'altra si chiama "Palle di catrame", ed è crema con pezzi di cioccolato.

A Patrick Shay, un commerciante di pesce che vive a New Orleans ma ha un cottage a Grand Isle, non occorre chiedere. Il suo pensiero è espresso dal cimitero di 101 croci bianche che ha costruito nel giardino davanti a casa. Ognuna riporta il nome di una vittima della marea nera: il pellicano bruno, la pesca, la spiaggia. Prima di partire, otteniamo il lasciapassare per andare a visitare Elmer's Island, un'isoletta ancora più piccola accanto a Grande Isle. Di notte è chiusa, durante il giorno normalmente l'ingresso è libero. Ma adesso è concesso solo con uno speciale permesso e se accompagnati da uno dei vicesceriffi della contea che stazionano al bivio della strada che porta all'isola. Per motivi di tutela, ovviamente.

Arriviamo appena dopo le 17. È appena finito il turno di lavoro. Ci avviciniamo per parlare con uno degli addetti. Ma veniamo fermati da un signore che ci dice che non siamo autorizzati a parlare con nessuno. E invita il vicesceriffo ad allontanarci. Chiediamo di parlare con un superiore. Il vicesceriffo ci passa il sergente Todd Vean al cellulare. «Le nostre istruzioni sono di assicurarci che nessuno impedisca agli addetti di lavorare», spiega. Gli facciamo notare che nessuno sta più lavorando. «E chi lo dice? Come si fa a stabilirlo?», risponde agitato. Dopo cinque minuti di futile discussione il suo vice ci informa che il tempo è scaduto: dobbiamo lasciare l'isola. Veniamo scortati via. Lasciamo la zona senza essere mai riusciti ad avvicinarci al bagnasciuga né a vedere alcun segno di catrame. Missione incompiuta. Ma non per Bp.
cgatti@ilsole24ore.us

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