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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2010 alle ore 08:01.
POMIGLIANO D'ARCO - È finito alle 4 lo scrutinio del referendum sull'accordo tra i sindacati dei metalmeccanici (ad esclusione della Fiom) e la Fiat per lo stabilimento di Pomigliano d'Arco. I sì sono stati 2.888, i no 1.673, le schede bianche 22 e quelle nulle 59. I sì corrispondono al 62,2% dei voti, il no al 36 per cento. Un verdetto molto al di sotto del 70%, la soglia sotto la quale la Fiat è pronta a rimettere in discussione l'investimento di 700 milioni per produrre la nuova Panda. Un dato che potrebbe cambiare faccia all'economia di una città di 47mila persone e all'intera Campania. Un risultato, quello dei «no», molto al di sopra dei consensi che in teoria sommerebbero la Fiom e lo Slai Cobas, il fronte contrario all'intesa.
Le urne si erano chiuse alle 21: su 4.881 aventi diritto hanno espresso il loro voto 4.642 tra operai e impiegati. Una partecipazione quasi totalitaria, con il 95,1% delle adesioni al referendum. Lo spoglio è cominciato con un'ora di ritardo. Sessanta minuti sono volati per ricontare tutte le schede dei votanti. Una doppia conta, in realtà.
La giornata è stata nervosa, ruvida. Alle 14 c'è il cambio turno: davanti al cancello numero 2 regna la confusione. Gli operai escono senza rilasciare dichiarazioni. Il cielo è gravido di nuvoloni e tira un vento che agita le bandiere di Rifondazione comunista e dello Slai Cobas. Ci sono pure degli uomini sandwich de "Il bolscevico" che distribuiscono volantini. Sembra che tutta l'area dell'antagonismo campano si sia data appuntamento a Pomigliano. Vittorio Granillo, capo dello Slai Cobas, aizza allo scontro urlando dentro un microfono. «L'accordo è un colpo di Stato». Tra la folla che si muove a ondate c'è anche Diego Bianchi, alias "Zoro", il più ascoltato blogger dell'area Pd appena arrivato da Roma con la sua inseparabile telecamerina. Inevitabile la domanda: come si è mosso il Pd sulla vicenda Pomigliano? Zoro sorride cercando di dissimulare un certo imbarazzo: «Bersani sostiene che ci penseranno gli operai: allora perché non mettiamo un operaio a capo del Pd?». Il sarcasmo di questo quarantenne stride un po' con un'atmosfera in cui si mescolano ribellismo e silenzi.
I nuvoloni grigi che incombono sulla fabbrica rendono tutto più teatrale, quasi un melodramma. I ragionamenti ruotano attorno al solito dilemma: quanto peseranno i sì? E quante chance ci sono affinché la Fiom non saboti la volontà della maggioranza degli operai e si decida a ricucire lo strappo con l'azienda e i sindacati che hanno sottoscritto l'intesa del 15 giugno? Eccoli i punti dolens. In realtà, dicono i bene informati, la Fiom si muove su un doppio binario: di contestazione fuori dalla fabbrica, di trattativa all'interno. La scelta di sparare contro l'accordo per la produzione della nuova Panda era praticamente scontato. La base lo reclamava. Ma di fronte a un risultato avverso alla linea della Fiom i metalmeccanici della Cgil potrebbe tornare sui loro passi. Magari chiedendo una parziale rivisitazione dell'intesa raggiunta sulle 80 ore di straordinario (120 invece del tetto di 40 previste dal contratto). Ora, di fronte al risultato del referendum, con una maggioranza di «sì» non schiacciante, l'azienda si prenderà sicuramente qualche giorno per riflettere. «Non prendiamo mai decisioni a caldo. Tantomeno lo faremo in questo frangente» dicono dall'ufficio stampa del Lingotto. Alle 18,30, al di là dell'invalicabile cancello numero 2, l'atmosfera è stranamente rilassata. Le contrapposizioni di quattro ore prima sembrano sfumate.